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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 08:18.

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«Tutto tutto già si sa», del Don Giovanni della Scala. Dunque solo qualche osservazione, per testimoniare quanto l'interpretazione di Barenboim e Carsen aderisca intimamente allo spirito dell'opera mozartiana. Giocosa, innanzitutto. Ma formalmente segnata da una geometria saldissima. Il gioco qui c'è, ovunque: nella lettura del direttore, che scardina tutti i possibili banali battere tra buca e palcoscenico, glissando gli appiombi da solfeggio (ma non c'è mai un momento dove l'assieme vada perduto) e inventando un accompagnamento cangiante, acrobatico, dalle mille idee musicali. E gioco puro, assoluto, irrefrenabile, sprigiona da inizio a fine nello spettacolo di Carsen, che sfoggia tutti gli espedienti magici del teatro barocco col ritmo del musical. Cambi d'abiti compresi, a vista: il Libertino, camaleonte, ne sfoggia almeno dieci diversi.
Ma fantasia, follia, ebbrezza del gioco tengono se alle spalle c'è una forma disciplinatissima. Mozart insegna. Alla Scala lo abbiamo riscoperto. Nei due finali, lì dove confluisce e deflagra tutto il potenziale emotivo e strutturale del Don Giovanni, affiorano due cattedrali. La prima, con le tre orchestrine in scena, risolta da Barenboim con meraviglioso rigore, esatta al millimetro, chiara e scintillante di suoni incendiari. All'ascolto un abisso, inebriante, da perderci la testa. Poi nel secondo atto, è Carsen a scandire con le scene di Michael Levine, il passo dei tre finali. Sublime invenzione mozartiana; mai visti con tanta trasparenza, per blocchi geometrici, sovrapposti.
Il cast: Peter Mattei è Don Giovanni, perché ha la sensualità del timbro. Fantastico. E nei cromatismi si sente il tanto Bach macinato. Bryn Terfel fa uno dei "Cataloghi" più memorabili, guascone e ribaldo. Barbara Frittoli tornisce rabbiose colorature, coi morsi elvireschi, da vera donna. Anna Netrebko ha di Donna Anna la tinta lunare, il bellissimo legato. Giuseppe Filianoti sta sempre sul filo del rasoio nell'intonazione, ma ha fiati eterni e quelle note gravi di morte che i Don Ottavi da sagrestia non mostrano. Zerlina è l'esilina Anna Prohaska, Masetto il rude Stefan Kocan. Marmoreo Kwanochul Youn, Commendatore. Bene quando tuona dal palco reale, non quando si defila passo passo tra le quinte. Improbabile per una statua. E in più dimentica la bara in scena. Intanto Don Giovanni si suicida. Lì qualcosa va cambiato, Carsen. Ma è davvero un'inezia. Perché per il resto questo è il Don Giovanni più raccontato, da tutti, più umano e più sorridente e più vero mai incontrato.
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Don Giovanni di Mozart; Teatro alla Scala, fino al 14 gennaio

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