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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 08:18.

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Ogni Natale, tra vari blockbuster che invadono le sale, alcuni distributori cercano di sfruttare il segmento di pubblico medio-colto che rischia di restare "scoperto", e di solito almeno un film riesce a farsi strada diventando un successo più o meno piccolo. Quest'anno poi i colossi americani e i comici nostrani sono meno concentrati nelle feste, spalmati su un periodo più lungo, per cui questi titoli possono avere più spazio. Il «film natalizio d'autore» non deve essere troppo disturbante o difficile: infatti Shame di Steve McQueen uscirà a gennaio e Sokurov è già sparito. Il tono ideale è la fiaba, la commedia è preferibile al dramma. Si cercano storie che riconcilino un certo pubblico con un presente non roseo, magari attraverso il passato. Il protagonista di Midnight in Paris idealizza la Parigi anni 20, la quale a sua volta idealizza la belle epoque, che a sua volta rimpiange il romanticismo. Come a dire: si è sempre nati «troppo tardi». The Artist trasforma la nostalgia in filologia, ricostruendo il passaggio dal muto al sonoro, che diventa anche una metafora-esorcismo dello spaesamento che il cinema vive oggi, nell'era del digitale. Al centro del rimpianto e dell'elegia di Robert Guediguian, in Le nevi del Kilimangiaro, è invece la classe operaia e la sua memoria (e il titolo, significativamente, non cita Hemingway ma una vecchia canzone di Adamo).
Il tedesco Almanya di Yasemin Sandereli appartiene a un sotto-genere ulteriore, quello della commedia etnica da festival, sulle tradizioni degli immigrati a confronto con i costumi dei Paesi ospitanti. Le notazioni buffe raccontano anche qui l'impossibilità di tornare indietro e, per le ultime generazioni, il percorso difficile verso un'identità. L'emigrazione diventa una favola rosa, tra canzoni e cinegiornali, balli e flashback colorati. E a vincere è l'ottimismo di una nuova generazione che avrà forse in sé il meglio della Germania e della Turchia, il calore e la modernità, il passato e il futuro. Dietro le fiabe, però, si scorge talvolta un fondo cupo. Come nell'ultimo film di Kaurismaki, che tacitamente assume come punto di partenza la desolazione del presente. Per cui, alla fine, c'è da sperare solo in un miracolo a Le Havre, tra i migranti in fuga.
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