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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2011 alle ore 09:00.

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Negli ultimi due mesi del 2011 che sta per finire, si sono avvicendati in Italia per una curiosa coincidenza tre eccellenti contrabbassisti, in veste anche di direttori dei propri gruppi. Un'altra coincidenza è che tutti e tre – mese più, mese meno – hanno quarant'anni, quindi appartengono a quella che si dice la generazione di mezzo del jazz (e dintorni) che approda ora alla piena maturità. Sono Avishai Cohen, Christian McBride e Omer Avital, citati nell'ordine in cui sono arrivati dalle nostre parti.

Vediamo. Cohen è abbastanza noto in Italia. Suonò per la prima volta nel 1998 al Festival di Fano come contrabbassista del Sestetto Origin di Chick Corea mettendo in luce doti non comuni di tecnica, bellezza di suono, fraseggio e una singolare capacità di coniugare il jazz contemporaneo con la tradizione musicale ebraica. In Italia, prima dello scorso novembre, si è esibito tre volte fra il 2005 e il 2007 sempre come leader di due trii diversi ma impostati nello stesso modo: composizioni molto belle quasi tutte di Cohen, con un interplay accurato e un'impostazione parabolica affascinante: incipit quasi sussurrato, vigore progressivo fino a un vertice centrale, e quindi un dolce, quasi impercettibile spegnersi dei suoni sino alla fine. Se ne può avere un ottimo esempio negli oltre sette minuti di "Toledo", un tema proposto da Cohen nel cd "Cohen at Home" realizzato nel 2004 per RazDaz Records.

Anche Christian McBride, il più celebre dei tre come solista per aver lavorato con Ray Brown, Sonny Rollins, McCoy Tyner, Roy Haynes, Chick Corea, Herbie Hancock e Pat Metheny, si è presentato sotto il segno dello Scorpione. Con sé aveva Christian Sands pianoforte e Ulysses Owens batteria, e ha suscitato commenti sensazionali per aver scelto alla tastiera il ventiduenne Sands, definito da chiunque lo abbia ascoltato un fenomeno, capace di esprimersi con tecnica ed espressività straordinarie nei molteplici accenti del jazz contemporaneo senza trascurare gli echi della tradizione. Qualcuno degli esperti ha ripescato una dichiarazione del 2005 del sommo Oscar Peterson che aveva individuato in Sands, allora sedicenne, il pianista di jazz del futuro. E McBride se n'è ricordato.

Omer Avital è invece arrivato all'inizio della seconda decade di dicembre, tenendo il primo recital del suo tour a Milano per la stagione di Aperitivo in Concerto. Erano con lui Avishai Cohen tromba (un omonimo del contrabbassista), Joel Frahm sax tenore e soprano, Jason Lindner pianoforte, Jonathan Blake batteria che è neroamericano, il più noto dei cinque comprimari per le sue collaborazioni con la Mingus Big Band, John Scofield, Kenny Barron, David Sanchez e altri. Avital, nato in una cittadina israeliana, ha studiato in patria dove ha assorbito le molteplici influenze musicali del melting pot israeliano prima di trasferirsi, ventenne, a New York. Nella Grande Mela si è affermato quasi subito per le sue qualità formali ed espressive unite a un linguaggio vigoroso e trascinante, e per la fortuna di aver trovato presto lavoro nei jazz club con colleghi di grande spessore.

Avital è anche compositore di temi jazz ricchi di energia e vitalità. Dice: «Quando scrivo musica mi ispiro a tecniche e a tradizioni differenti: jazz, espressioni arabe, musica europea e neolatina. Mi piace studiare i diversi idiomi della musica per metterli al servizio della mia scrittura. Il mio approdo al contrabbasso dopo avere studiato chitarra e pianoforte è stato un contributo ulteriore al mio modo di essere compositore. Questo è il mio corredo personale, ma quando scrivo non mi attardo mai a riflettere su quale sia lo stile che sto usando. Il mio è un processo naturale e immediato, ed è lo stesso con il quale affronto un assolo».


La première milanese di Avital ha ottenuto un clamoroso successo. Gli ascoltatori più attenti hanno notato che l'organico del gruppo è identico a quello degli indimenticabili Jazz Messengers di Art Blakey, con i quali c'è qua e là qualche somiglianza nel vigore e nella capacità di comunicare con la platea. Ma differenti sono il repertorio e gli echi idiomatici, quindi il successo è stato quanto mai legittimo e meritato.

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