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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 14:33.

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Charles Dickens (Alinari)Charles Dickens (Alinari)

In una calda serata d'estate del 1849 la famiglia James era riunita in biblioteca nella casa di New York per ascoltare la lettura di David Copperfield, il nuovo romanzo di Charles Dickens di cui era appena giunta per nave dall'Inghilterra la prima puntata. Henry, futuro scrittore, aveva appena sei anni ed era stato spedito a letto. Ma il fascino della voce paterna intenta a narrare la storia di un piccolo sconosciuto lo indusse a disobbedire.

Molto tempo dopo, in un pagina autobiografica, James raccontò di essersi nascosto sotto un tavolo coperto da un'immensa tovaglia dove rimase immobile sino a quando le sventure di David non lo fecero scoppiare in lacrime. Il nascondiglio venne così scoperto e il bambino spedito in camera a dormire. La lettura lasciò tuttavia su di lui un'impronta incancellabile: «Sentii che ero stato generato quella notte come artista. D'istinto compresi che grazie a Dickens il mondo poteva essere analizzato e riassunto in un libro», annota nei Taccuini spiegando la nascita della sua vocazione.

Quella di James non è certo l'unica testimonianza del debito contratto con Dickens da narratori apparentemente assai diversi da lui. Come ci ricordano Claire Tomalin, Lucinda Dickens Hawksley e Robert Douglas-Fairhurst negli eccellenti volumi biografici appena apparsi nel Regno Unito – dove il 7 febbraio 2012 sarà celebrato in maniera solenne il bicentenario della nascita dello scrittore –, tra gli estimatori di Dickens figurano, tra gli altri, Dostoevskij, Tolstoj, Conrad, Joyce, Kakfa, Saul Bellow e Salman Rushdie. È semplice chiarire i motivi alla base dell'importanza di Dickens: grazie alle sue labirintiche storie ha acquisito forma e immensa popolarità il romanzo di impianto realista. Nell'Europa occidentale di inizio Ottocento, affascinata dal progresso e terrorizzata per le sue ricadute negative, solo i giganti della letteratura hanno saputo riprodurre sulla pagina quanto stava accadendo e, contemporaneamente, inventare forme narrative adeguate per un compito tanto impegnativo: oltre a Dickens, diremmo Balzac e Stendhal.

C'è il talento del genio precoce a sostenere e sospingere Dickens verso il successo sin da giovanissimo. Ha da poco compiuto vent'anni quando debutta con un racconto, uscito anonimo, su «The Monthly Magazine», all'inizio del 1836 i londinesi vanno in visibilio per un volume firmato con lo pseudonimo di "Boz" in cui con agile taglio giornalistico si offre un quadro della vita della metropoli, pochi mesi più tardi Charles John Huffam Dickens si presenta con il suo vero nome firmando la prima puntata di Il Circolo Pickwick che vende in pochi giorni migliaia di copie e, precisa Tomalin, «viene divorata nelle severe aule parlamentari, nei club esclusivi, dai garzoni delle botteghe, dalle domestiche, dalle signore borghesi». Il segreto, appreso d'istinto da questo ragazzo con un'istruzione assai scarsa ma capace di imparare in fretta i trucchi del mestiere durante le notti insonni dedicate alla lettura, era di aver capito che deve riprodurre il mondo senza limitarsi a mostrarne la superficie ma evocando gli aspetti più nascosti della personalità umana e usando ogni registro narrativo conosciuto: comico, tragico, grottesco, sentimentale.

Pickwick e tutti i fluviali romanzi apparsi in seguito sono costruiti moltiplicando i colpi di scena – tecnica imposta dalla pubblicazione a puntate, portata alla perfezione da Dickens – e offrendo agli inglesi del XIX secolo le chiavi per comprendere cosa stava accadendo in un paese che mutava assetti sociali e certezze filosofiche o politiche grazie alla rivoluzione industriale e al capitalismo. Per riuscire in un'impresa tanto ardua è indispensabile dar corpo e nome alla variopinta moltitudine di anonime figure che ogni giorno si muovono nell'immensa Londra vittoriana, scrutare i loro movimenti, ricostruirne gli stati d'animo, le aspettative.

Lui stesso in una conferenza afferma che chi scrive romanzi con queste ambizioni è nella stessa condizione di un malato chiuso in casa in una piccola strada al centro della metropoli, costretto ogni notte ad ascoltare i rumori provocati dai passanti e a poter contare soltanto su di essi per ricostruire quanto accade all'esterno. «Uno degli scopi principali di Dickens – ha scritto Edmund Wilson – è offrirci un quadro dettagliato delle attività umane. Qual è il vero aspetto di un ospizio di mendicità? Come parla un ricco borghese? Qual è il vero aspetto dei buoni e quello dei cattivi? In quali condizioni vivono le donne che non hanno trovato marito? Che impressione vi lascerà un industriale se lavorate per lui o se, invece, lo incontrate a pranzo? Dickens sa dirci tutte queste cose. Una delle prime funzioni del romanzo e del teatro moderno è stata quella di lasciare una testimonianza di questo tipo, ma pochi scrittori hanno saputo farlo su una scala così larga, e in ogni caso nessuno ha superato Dickens». E pochi hanno anche guadagnato tanto: Tomalin calcola infatti un reddito medio annuo, a metà secolo, di circa quattromila sterline (almeno quattrocentomila di oggi), cui vanno sommati i favolosi incassi delle pubbliche letture nei teatri britannici e americani.

Non amare Dickens, ha detto Italo Calvino, è un peccato mortale, significa non capire che grazie a lui e a pochissimi altri la grande letteratura dell'Ottocento è riuscita a ipnotizzare il pubblico di massa e, nello stesso tempo, a raggiungere risultati artistici insuperabili mescolando l'analisi sociale, la satira e la spericolata discesa verso le tenebre della mente. A Dickens, poi, si deve anche l'invenzione dei giochi di destrezza nelle trame in seguito largamente impiegati dal cinema (a iniziare da Chaplin) e dalla tv e persino della tipica atmosfera natalizia proposta in una celebre serie di racconti. «Dio creò il mondo per permettere a Dickens di raccontarlo», osservò una volta Anthony Burgess, sintetizzando in una fulminante battuta l'importanza di un narratore le cui opere continuano ad avere una diffusione planetaria.

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