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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 08:17.

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Giulio Busi
Un impostore, «uno speculatore capitato nel mondo della scienza», o, nel migliore delle ipotesi, un dilettante geniale ma senza metodo. Robert Eisler ha lasciato un'opera all'insegna dell'eccesso e non gode certo di buona stampa. I suoi volumi, dedicati agli argomenti più disparati – storia dell'arte, filologia classica, linguistica semitica, psicologia, politica e storia economica – sono spesso smisurati per numero di pagine e straripano di citazioni dottissime, di excursus che si aprono en abîme uno nell'altro.
Nato a Vienna nel 1888, da una famiglia ebraica molto benestante, convertito al cattolicesimo e costretto all'emigrazione in Inghilterra nel 1938, dopo aver subito un drammatico internamento a Dachau e a Buchenwald, Eisler fu uomo dalla curiosità onnivora e dal gusto quasi mistico per il paradosso. Tra i più severi nel giudicarlo fu Gershom Scholem, che nella sua autobiografia Da Berlino a Gerusalemme traccia un quadro impietoso delle debolezze personali di Eisler. Peraltro Scholem tace un episodio che pure fece scalpore. Nel 1907, Eisler tentò di rubare un codice miniato della biblioteca Bartoliniana di Udine. Colto sul fatto e processato, se la cavò con una lieve condanna, ma il fattaccio gli precluse la carriera universitaria. «Hai letto sui giornali cosa ha fatto Eisler? Un vero colpo di follia» scrisse Benedetto Croce a Giovanni Gentile, appena saputa la notizia.
Le opere di Eisler restano comunque un monumento minore del Novecento. Leggerle è come addentrarsi in un gran bazar, pieno di ninnoli irrimediabilmente kitsch ma anche di rarità sorprendenti, e di piccoli, delicati capolavori. È quanto succede anche con Uomo lupo, il saggio su sadismo, masochismo e licantropia pubblicato dall'autore austriaco poco prima di morire, e ora tradotto in italiano. Scritto sotto l'influsso di Jung, il libro si ripropone nientemeno che di «individuare la causa storica, o meglio preistorica, o evolutiva di ogni singolo crimine e di ogni violenza». Secondo Eisler, questa causa sarebbe una caduta avvenuta in tempi immemorabili, quando gli uomini, da pacifici mangiatori di frutti, si trasformarono in predatori carnivori, e si fecero imitatori dei branchi sanguinari dei lupi. Naturalmente la tesi è tanto ambiziosa quanto pericolante, ed Eisler non giunge ad alcuna dimostrazione scientifica. Ma la sua prosa, che si muove sinuosa tra veneri in pelliccia, menadi che danzano furiose a Dioniso, serial killer e orrori di una guerra appena conclusa (è il 1948), riesce a evocare un perfetto labirinto mentale. I lupi, quelli veri, possono aspettare fuori.
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Robert Eisler, Uomo lupo, a cura di Martino Doni ed Enrico Giannetto, Medusa, Milano, pagg. 316, € 24,00

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