Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 08:19.

My24

di Cristina Battocletti
Un manipolo di matti che si trasforma in una cooperativa di parquettisti di alta moda (Si può fare di Giulio Manfredonia); un nerd che, mollato dalla fidanzata, rivoluziona il mondo della comunicazione creando Facebook (The social network di David Fincher); un piccolo imprenditore del latte che si fa magnate sfruttando l'abbrivio della finanza creativa, rispondendo a un'etica professionale tutta sua (Il gioiellino di Andrea Molaioli).
Di manovre, strette, tasse e balzelli è fatta la nostra realtà e di economia narrativa e visionaria, frutto di fantasie quanto mai concrete, pullula il cinema. Il critico Gianni Canova e l'economista Severino Salvemini ne discutono da vent'anni sulle pagine della rivista «Economia & Management» e hanno condensato il meglio dei loro "monologhi a quattr'occhi", così li chiamano, in un volume, Il manager al buio, che racconta i retrobottega e le spinte del sistema produttivo intrecciati al racconto sul grande schermo.
Così, attraverso lenti manageriali e cinefile, scopriamo il risvolto economico di decine di film, divisi in tre categorie: "Gli imprescindibili", "Gli indispensabili", "I laterali". Soprattutto di quelli che non avremmo mai immaginato avere una lettura di questo tipo. Prendiamo Soul kitchen (tra "I laterali"), con cui il turco-amburghese Fatih Akin ha vinto il Leone d'argento a Venezia nel 2009. La pensavamo una scoppiettante commedia etnica, che si fa sberleffi di odi atavici, luoghi comuni e diffidenze tra vicini di casa; con Canova e Salvemini la rileggiamo anche come un esempio di attivismo e abilità imprenditoriale, di accettazione dei rischi a tutto guadagno della rinascita del tessuto urbano.
E l'insospettabile Benvenuti al Sud ("Gli imprescindibili") di Luca Miniero? La calata in Puglia di un polentonissimo Claudio Bisio con tanto di giubbotto antiproiettile non è solo una girandola di gag sui peggiori difetti di noi italiani, provinciali per eccellenza, ma, fatte le debite differenze, come tiene a precisare Canova, può essere la trasposizione della dislocazione, del manager che apre una succursale della sua impresa all'estero e si porta dietro un carrello pieno di stereotipi. E Salvemini ricorda che i manager italiani spesso sono alla testa delle joint venture internazionali, perché sanno integrare le culture senza annullare le identità.
Ma l'economia è anche quella sommersa di Gomorra di Matteo Garrone (nella categoria "Gli indispensabili") o di Il grande capo (un altro "indispensabile") di Lars von Trier che spiega l'organizzazione aziendale attraverso la metafora del teatro. Niente cattedre, nonostante entrambi gli autori siano professori, il tutto è scritto in maniera molto chiara e accessibile, con un florilegio di citazioni che faranno la gioia dei cinefili e diverse litigate filmiche. Per esempio, proprio su Gomorra, premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes nel 2008, critico cinematografico ed economista, non sono per nulla d'accordo.
In un periodo da coperte e divano, mentre pioggia, umidità ed eccesso di luminarie festive incombono, è divertente avere questo volume tra le mani con una posologia variabile: si può usare prima o dopo la visione. È comunque illuminante.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gianni Canova, Severino Salvemini,
Il manager al buio, Rizzoli Etas, Milano, pagg. 244, € 19,00

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi