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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2011 alle ore 10:46.

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Alessandro Manzoni, Il primo coro dell'Adelchi
Da gli atrii muscosi, dai fori cadenti
dai boschi, dall'arse fucine stridenti
dal solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta;

intende l'orecchio, solleva la testa,
percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
qual raggio di sole da nuvoli folti,
traluce de' padri la fiera virtù;

ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto
si mesce e discorda lo spregio sofferto
col misero orgoglio d'un tempo che fu.
S'aduna voglioso, si sperde tremante,
per torti sentieri, con passo vagante,

fra tema e desire s'avanza e ristà;
e adocchia e rimira scorata e confusa
de' crudi signori la turba diffusa,
che fugge dai brandi, che sosta non ha.
Ansanti li vede, quai trepide fère,

irsuti per tema le fulve criniere,
le note latèbre del covo cercar;
e quivi, deposta l'usata minaccia,
le donne superbe, con pallida faccia,
i figli pensosi pensose guatar.

E sopra fuggenti, con avido brando
quai cani disciolti, correndo, frugando,
da ritta, da manca, guerrieri venir:
li vede, e rapito d'ignoto contento,
con l'agile speme precorre l'evento,

e sogna la fine del duro servir.
Udite ! Quei forti che tengono il campo,
che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
son giunti da lunge, per aspri sentier:
sospeser le gioie dei prandi festosi,

assursero in fretta dai blandi riposi,
chiamati repente da squillo guerrier.
Lasciâr nelle sale del tetto natio
le donne accorate, tornanti all'addio,
a preghi e consigli che il pianto troncò.

Han carca la fronte de' pésti cimieri,
han poste le selle sui bruni corsieri,
volaron sul ponte che cupo sonò.
A torme, di terra passarono in terra,
cantando giulive canzoni di guerra,

ma i dolci castelli pensando nel cor:
per valli petrose, per balzi dirotti,
vegliaron nell'arme le gelide notti,
membrando i fidati colloqui d'amor.
Gli oscuri perigli di stanze incresciose,

per greppi senz'orma le corse affannose,
il rigido impero, le fami durâr:
si vider le lance calate sui petti,
a canto agli scudi, rasente agli elmetti,
udiron le frecce fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
d'un volgo straniero por fine al dolor ?
Tornate alle vostre superbe ruine,
all'opre imbelli dell'arse officine,

ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l'antico;
l'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti:

si posano insieme sui campi cruenti
d'un volgo disperso che nome non ha.

Renato Palazzi è nato a Milano nel 1947. Dal 1968 al 1972 ha lavorato al Piccolo Teatro di Paolo Grassi occupandosi soprattutto di spettacoli nelle scuole. Nel ‘73 è stato tra i fondatori del Salone Pier Lombardo, poi diventato Teatro Franco Parenti. Negli stessi anni ha iniziato l'attività di critico teatrale collaborando fra l'altro con "L'Avanti!", col "Corriere della Sera" e, dall'88, col supplemento culturale domenicale del "Sole 24 ore". Dall'86 al '95 è stato direttore della Civica Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi" di Milano. Dal settembre 2000 è stato tra i creatori e collaboratori del sito internet "delteatro.it" - confluito ora nel portale "myword.it" - della casa editrice Baldini Castoldi Dalai, per la quale tiene anche una rubrica di riflessione e critica teatrale su "Linus". Dal 2001 al 2010 ha insegnato al CLEACC, il corso di laurea in economia dell'arte, della cultura e della comunicazione dell'Università Bocconi di Milano. Dal 2008 fa parte del Comitato Scientifico del Progetto Être, una iniziativa della Fondazione Cariplo a sostegno di una serie di "residenze" teatrali in Lombardia. Dal luglio 2010 al settembre 2011 ha esordito come attore, recitando in appartamenti privati e in alcuni festival lo spettacolo Goethe schiatta, da un racconto di Thomas Bernhard.

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