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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2011 alle ore 11:48.

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«Travestiti da pastori / o scorta volontaria dei re magi / andiamo a Betlemme cianciando / di grazia d'amore di pace, / comunque nascondendo / sotto il mantello per ogni evenienza / un kalaschnikov ben oliato». Sono, certo, versi provocatori quelli di Giovanni Angelo Abbo (1911-1994), raccolti nel volume Parole dipinte di questo poeta appartato e ormai dimenticato.

Eppure colpiscono nel segno tant'è vero che a Napoli, secondo i canoni di una creatività popolaresca sempre sfrenata e irriverente, le statuine del presepio in passato hanno compreso anche i vari capi della camorra, appaiati alle loro vittime, per non parlare dei politici più o meno presentabili.

Effettivamente anche attorno al presepio così come ce lo delineano i Vangeli di Matteo e Luca - in quattro capitoletti per un totale di 180 versetti - si accalca una piccola folla di personaggi tra i più diversi, folla che s'infittisce ancor più se si dovesse attingere anche a quel repertorio sterminato che è la letteratura apocrifa 'natalizia' dei primi secoli cristiani (un po' come ha fatto Berlioz col suo affascinante oratorio Infanzia di Cristo op. 25). Noi selezioneremo sette storie diverse che si annodano nelle loro trame alla figura del piccolo Gesù. La prima è necessariamente quella di Maria, la madre di Gesù, residente in un modesto villaggio settentrionale della Terra Santa, Nazaret.

Là, anni fa, è venuto alla luce un graffito del I secolo sulla parete di una modesta abitazione: erano poche lettere greche, Cháire Maria, in pratica la prima 'Ave Maria' che ricalcava il saluto dell'angelo dell'annunciazione, incisa da un fedele nella probabile stanza della madre di Cristo, trasformata già allora in santuario.

«Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo ...». Quelle parole evangeliche hanno reso nei secoli quella ragazza l'emblema di una maternità unica che si sarebbe compiuta in un'altra cittadina, Betlemme, nella regione meridionale della Giudea. Là, più di mille anni prima, era nato il re Davide, ma la città sarebbe passata alla storia soprattutto per la nascita del figlio di Maria. Curiosamente è stato, secoli dopo, un autore lontano dal cristianesimo a esprimere in modo folgorante i sentimenti di quella madre in quel giorno di un anno non del tutto certo (forse il 6 a.C.) che ha però scandito la storia con una linea di demarcazione, il 'prima' e il 'dopo' Cristo. Era Jean-Paul Sartre che nel suo primo testo teatrale, Bariona o il figlio del tuono, composto nel 1940 nel lager di Treviri, metteva in bocca a Maria questo soliloquio suggestivo: «Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia! Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci».

Se è l'evangelista Luca a raccontarci la vicenda di Maria, è invece Matteo a narrare la storia tormentata del suo sposo Giuseppe. Quando era ancora fidanzato con lei, l'aveva scoperta incinta: per le legge ebraica il fidanzamento era il primo atto ufficiale del matrimonio e quindi Maria si era resa passibile della condanna per adulterio che nell'antica legislazione biblica comprendeva la pena della lapidazione. Il giudaismo posteriore aveva attenuato la norma, imponendo però il ripudio. È ciò che vuole fare anche Giuseppe, sia pure in modo segreto, senza processo ma solo alla presenza di due testimoni, come era ammesso dalla prassi ufficiale. Ecco, però, a questo punto l''annunciazione' angelica anche per il bravo carpentiere di Nazaret: egli dovrà lo stesso sposare Maria, legittimare quel figlio misterioso e comportarsi nei suoi confronti come padre legale.

Così, anche Giuseppe si trasferisce a Betlemme con la sua sposa incinta per quel censimento etnico (e non residenziale) imposto dall'autorità romana. La sua piccola famiglia, ospitata in una di quelle grotte che fungeva da dispensa e riparo invernale nelle case di allora, ha attorno un gruppo di pastori «che vegliavano la notte facendo la guardia al loro gregge», come annota Luca. Nel Talmud si legge che i pastori non potevano testimoniare in sede processuale né accedere al tempio perché considerati impuri a causa della loro convivenza con animali e delle loro violazioni dei confini territoriali. A circondare il piccolo Gesù ci sono, dunque, coloro che erano relegati ai livelli più bassi della scala sociale. In pratica essi sono quegli 'ultimi' che spesso lo accompagneranno anche quando diverrà un predicatore pubblico e che egli allora riterrà 'primi' nel Regno di Dio.

Anche a loro è destinata un''annunciazione' angelica: «Oggi nella città di Davide vi è nato un salvatore, Cristo Signore». E la loro monotona notte di veglia nel deserto di Giuda che circonda Betlemme si trasforma in un evento sorprendente. Matteo, però, introduce attorno a quella famigliola un'altra presenza e un'altra storia. È quella dei Magi sui quali la tradizione ha intessuto le fantasie più sfrenate: li ha contati in tre, li ha fatti re, li ha distribuiti nelle tre razze, ne ha inventato i nomi, li ha assegnati alla fede iranica di Zarathustra, li ha considerati astrologi babilonesi e così via.

In realtà, agli occhi dell'evangelista essi sono soprattutto gli stranieri che, sulla base di una rivelazione cosmica (la stella), optano per la fede in Cristo e, attestando il carattere universale del cristianesimo, anticipano le parole di Cristo: «Molti verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

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