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Questo articolo è stato pubblicato il 01 gennaio 2012 alle ore 18:17.

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ORVIETO - Giusto nel mezzo del suo cammino, Umbria Jazz Winter 19 ha riservato ampio spazio a senatori del jazz invidiabili per l'inalterato vigore tecnico ed espressivo come gli ottantenni Stan Tracey e Renato Sellani, entrambi pianisti (Tracey ha compiuto 85 anni a Orvieto) e Franco Cerri che nacque suonando la chitarra acustica. Tracey evoca in Italia ricordi lontani: più di vent'anni fa ebbe grandi applausi in un bel festival che si teneva d'estate fra le acque, le anguille e le zanzare di Comacchio e li ha meritati di nuovo qui in trio con Andrew Cleyndert contrabbasso e Clark Tracey batteria; mentre scrivo è atteso anche per un tributo a Thelonious Monk, per il quale sembra particolarmente adatto, insieme con la Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale.

Sellani è da tempo ospite fisso in Umbria d'estate e d'inverno, ma continua a richiamare un pubblico affezionato che ama profondamente le sue interpretazioni creative di temi standard e di brani originali, ogni volta diverse, con gli inseparabili Massimo Moriconi contrabbasso e Massimo Manzi batteria. Cerri invece è una novità (si fa per dire) ma come ci si attendeva il suo quartetto è stato assai festeggiato.

Un discorso a parte esigono tre illustri virtuosi del pianoforte, il nostro magnifico Danilo Rea e i celebri neolatini Michel Camilo e Gonzalo Rubalcaba. Quest'ultimo non ha rinunciato a tenere i suoi concerti sebbene fosse febbricitante, perciò qualsiasi commento dev'essere rinviato ad occasioni più fortunate. Camilo, invece, ha fatto litigare di brutto alcuni esperti arrabbiati e molti spettatori entusiasti. Mi allineo con i primi dicendo che la formidabile destrezza manuale di Camilo fa pensare ai nostri scrittori del Seicento barocco per i quali era "del poeta il fin la meraviglia", sorvolando su chi sostiene addirittura che ogni sua nota ha lo scopo di épater le bourgeois.

Certo è che quando suona da solo, quelle sue mani che talvolta nemmeno si distinguono causa la velocità sono impressionanti; ma ci siano risparmiati, per favore, i paragoni con Oscar Peterson e soprattutto con Art Tatum, che erano altra cosa. E sia ancor più lodato Danilo Rea che, cimentandosi in duo con Camilo, ha saputo controllarlo e ricavarne il meglio in variazioni su titoli noti fra i quali (cito a memoria) Cantaloupe Island, Song For My Father, Besame Mucho, Solar e nientemeno che O' Sole Mio. Eccellentissimo, Rea, anche in trio con Ares Tavolazzi ed Ellade Bandini per un pregevole progetto dedicato ai "Beatles in Jazz".

Finora, uno degli episodi più alti del festival si deve a Paolo Fresu in qualità di solista di tromba e flicorno con il quartetto d'archi Alborada (Anton Berovski primo violino, Sonia Peana secondo violino, Nico Chiricugno viola, Piero Salvatori violoncello). Hanno iniziato con un Miserere tradizionale sardo e hanno proseguito con il Corale Pop di Massimo Colombo, il Quartetto in Do n.19 di Mozart, il Think di Uri Caine e Paolo Fresu… Ma più che l'elenco dei brani è importante il "come".

Fresu a volte tratteneva il suono della tromba per farla strumento fra gli strumenti del quartetto, altre volte la liberava quasi per dominare gli archi, i quali si sono anche disposti agli angoli dell'ampia Sala dei Quattrocento per ottenere bellissimi effetti d'eco. Come bis hanno interpretato una versione speciale della commovente Ave Maria sarda: chi l'abbia sentita anche una sola volta non l'ha più dimenticata. Per fortuna, oggi un uditorio come quello di Umbria Jazz Winter non si pone il problema se ciò che sta ascoltando sia jazz o non jazz, e in quale percentuale (tempo fa si disse perfino questo, ahimé) ma soltanto se la musica sia buona o meno buona.

E quella del progetto di Fresu e compagni è eccellente. Nella chiesa sconsacrata del Carmine, affidata come di consueto alle iniziative di Massimo Achilli, si è ammirato il contrabbassista Enzo Pietropaoli nella sua nuova veste di leader del quartetto Yatra (con Fulvio Sigurtà tromba, Julian Mazzariello pianoforte, Alessandro Paternesi batteria: si ascolti il cd omonimo) destinato a durare a lungo per la bellezza dei suoni cangianti e la cura raffinata delle esecuzioni. C'è e ci sarà molto altro di cui riferire sino alla fine del festival. Ma per ora, auguri di felice nuovo anno.

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