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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2012 alle ore 08:14.

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Misantropo e selvatico, collerico e bizzarro, il Cézanne che emerge dalle pagine di Émile Bernard, uscite per la prima volta nel 1907 sul «Mercure de France» e ora pubblicate da Skira con il bel commento di Flaminio Gualdoni (Mi ricordo Cézanne, pagg. 106, € 13,00), è un uomo malato, afflitto dal diabete ma, più ancora, da una quantità di fobie da manuale.
Era il 1904 quando Bernard (uno dei fondatori del gruppo di Pont-Aven), che lo idolatrava, poté incontrarlo e frequentarlo per un intero mese: Cézanne, 65 anni, viveva da eremita nella sua Aix, ossessivamente concentrato sulla pittura e incurante delle mille convenzioni che regolavano la vita della borghesia provinciale cui pure per nascita apparteneva. Si muoveva per la città (e, somma trasgressione, ci andava pure a messa) con il panciotto slacciato, il colletto legato da uno spago, il cappotto incrostato di pittura: per i monelli del posto, un invito a sbeffeggiarlo, a tirargli addirittura le pietre. Non che lui fosse cordiale con i concittadini, né con i rari visitatori che giungevano fin lì (ricevette Bernard perché anni prima aveva scritto un bel testo su di lui): a suo dire arrivavano solo per ghermirgli qualche presunto «trucco segreto. Ma io li mando al diavolo e nessuno riuscirà a impadronirsi della mia mente!». Non tollerava poi di essere toccato, nemmeno sfiorato: nessuno, ripeteva torvo, poteva piantargli «gli artigli addosso». Patologicamente devoto al lavoro (quando morì l'amata madre non seguì il feretro perché «doveva andare sur le motif», cioè a dipingere per l'ennesima volta la "sua" Sainte-Victoire), aveva di sé una bassa opinione, sempre in cerca com'era di una perfezione che si crucciava di non poter raggiungere («sono troppo vecchio, resterò solo il primitivo di ciò che ho scoperto»). E anche quando nel 1899 il successo lo raggiunse, restò quello di sempre. Bernard ci parla però con finezza anche del Cézanne pittore: del suo invito, da allora sempre citato e poi alla base del Cubismo, a «trattare la natura con il cilindro, la sfera, il cono»; della sua pittura attenta sì alla natura ma governata dal pensiero («la sua ottica era più nel cervello che nell'occhio»); della sua totale dedizione all'arte («più che un pittore, egli era la pittura stessa diventata vita»). Eppure, a dispetto della sua devozione, nemmeno lui seppe comprenderlo fino in fondo: come avrebbe potuto definire infatti «una specie di guazzabuglio» la tela delle Grandi bagnanti (oggi alla Barnes Foundation) sul cui sfondo lo fotografò?
Là dove si interrompe il racconto Bernard si avvia quello di Rainer Maria Rilke, fondato su innumerevoli sue visite alla mostra al Salon d'Automne del 1907 che decretò la fama mondiale di Cézanne, morto da un anno: sono le densissime lettere scritte dal poeta alla moglie, di recente ripubblicate (Lettere su Cézanne, a cura di Giorgio Zampa, pagg. 96, € 13,00) da Abscondita, che già nella scorsa primavera aveva rieditato, con la cura di Elena Pontiggia, le Lettere di Cézanne stesso (pagg. 176, € 20,00), dalle quali tra l'altro emerge vividamente la lunga consuetudine con Émile Zola, spezzata nel 1886 dalla pubblicazione del suo L'Œuvre: lui si riconoscerà infatti nel protagonista, il pittore fallito Claude Lantier, e chiuderà per sempre i rapporti con l'antico compagno di liceo.
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