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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2012 alle ore 08:16.

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Di chi la colpa se tanti giardini sono collezioni di piante arrivate da terre lontane? Non sempre è stato così. Senza ricordare la formula Zen di sola sabbia e rocce, anche nella nostra Europa si poteva prescindere da specifiche competenze botaniche: bastavano riquadri erbosi, siepi potate, decorazioni topiarie, viali rettilinei. L'assenza di fioriture per buona metà dell'anno non sgomentava con la sensazione di un luogo smorto e desolato. Poi, insieme a spezie e sete, tè e caffè, tessuti e schiavi, dalle colonie arrivarono piante che fioriscono perfino d'inverno. Nel 1716 Thomas Fairchild, intraprendente vivaista in Haxton, applicava la rivoluzionaria scoperta di Linneo, la riproduzione sessuale delle piante, creando il primo ibrido, un garofano doppio e profumato. Con non poco timor di Dio se tuttora, nel primo martedì di Pentecoste, nella chiesa di St. Giles, vicino al Barbican, i membri della Worshipful Company of Gardeners recitano il «Sermone di Fairchild», composto per placare l'unico creatore di ogni possibile varietà di piante.
Ci fu poi la pubblicazione, nel 1731, del Gardener's Dictionary di Miller, che scatenò la brama di piante sempre più esotiche e insolite, talvolta incongrue, altre volte utili e preziose. È la storia di una vera e propria ossessione, quella raccontata da Andrea Wulf in La confraternita dei giardinieri. Induce a chiedersi quanto, anche nel nostro giardino, sia frutto di scelta meditata, e quanto invece non sia effetto di un vero e proprio contagio. Come sarà che anche nei giardini cosiddetti naturali, dove dominano le specie autoctone rinvenute a fatica nei vivai forestali, capita a volte di incontrare la magnolia nordamericana se non addirittura specie rare come Zanthoxylum simulans (India settentrionale) o Photinia glabra (Giappone)? Dobbiamo simili presenze all'onda lunga dell'epidemia botanica scatenatasi allora, quella che ci fa cercare piante strane alle mostre orticole, e induce certi malati di collezionismo a stipare terreni mai abbastanza grandi di alberi in eterna lotta tra loro per contendersi spazio, acqua e luce.
È una vicenda strettamente intrecciata all'espansione dell'impero britannico, con l'arrivo prima degli alberi originari dell'America settentrionale, che mutarono per sempre il paesaggio inglese, e poi delle migliaia di essenze dall'Estremo Oriente, dall'Australia e dall'Africa grazie alle conquiste di Peter Collinson, John Bartram, Daniel Solander. E soprattutto di Joseph Banks, la cui spregiudicatezza ed energia assicurarono il primato orticolo a Londra. Sua l'idea di sfidare il monopolio della Cina sul tè e introdurre la coltivazione di Camellia sinensis, poi sostituita da Camellia assamica, nelle colonie indiane, suo il merito se l'intera collezione di Linneo – tremila volumi, il famoso erbario, migliaia di minerali insetti e conchiglie – si trova a Londra e non a Stoccolma, sua la creazione dei Kew Gardens, la più grande raccolta botanica al mondo, di cui nel 1773 assunse la direzione. Ben consapevole della possibilità di far rendere le scoperte botaniche, pensò di utilizzare l'albero del pane per l'alimentazione degli schiavi. A questo fine, il 23 dicembre del 1787 salpò il primo vascello specificamente concepito per il trasporto di piante. Era il Bounty, tramutato da Banks in una sorta di giardino galleggiante. La stiva era piena di barili d'acqua per innaffiare gli alberi del pane e lavare via dalle foglie gli spruzzi di salmastro, mentre fu trasformata in serra la cabina del Capitano Bligh di trista memoria. Dei mille e quindici esemplari di alberi da trasferire dalle Indie Orientali a quelle Occidentali nessuno arrivò a destinazione: nell'aprile del 1789 parte dell'equipaggio si ammutinava, per il fascino delle ragazze di Tahiti, ma soprattutto per la rabbia di non potere soddisfare la sete a tutto vantaggio delle piante.
È la storia raccontata dal film del 1962, L'ammutinamento del Bounty, con Marlon Brando nella parte di Fletcher Christian, il capo dei ribelli. Abbandonato nel Pacifico il capitano Bligh, mentre il giardiniere David Nelson moriva a Timor di febbre malarica, i marinati si rifornirono di donne a Tahiti – dove Joseph Banks aveva da poco introdotto l'uso prima sconosciuto del bacio – per poi stabilirsi nell'isola disabitata di Pitcairn, dove ne vivono tuttora i discendenti. Solo nel 1793, con una spedizione successiva, seicento vigorosi alberi del pane raggiunsero le isole di St. Vincent e della Giamaica.
Quanto al parco all'inglese, spazzato via il modello architettonico rinascimentale, diventava la moda dominante in Francia e in Germania, in Russia e perfino nel Nord America in barba alla Dichiarazione di Indipendenza del 1776. E anche nel Regno delle Due Sicilie, dove la Regina Maria Carolina chiedeva a William Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli, un giardiniere capace di allestire nella Reggia di Caserta un giardino alla moda inglese: prati in pendenza, laghi, una grotta circondata da felci e un tempietto in rovina, tra querce americane e allori del Portogallo, alberi dei tulipani e magnolie.
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Andrea Wulf, La confraternita dei giardinieri. Come un gruppo di uomini uniti dalla passione per le piante rivoluzionò la botanica e i giardini d'Europa, Ponte alle Grazie, Milano, pagg. 426, € 22.50

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