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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2012 alle ore 08:13.

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Dimentichiamo discorsi difficili, teorie con velleità sistematizzanti, vite da biblioteca e macerazione. Pierre Hadot, studioso di filologia e filosofia antica (1922-2010), ha dedicato l'intera esistenza a illustrare una filosofia che è anche pratica di vita, un'ascetica che ha come fine la felicità, e non l'autodistruzione. Difficile per noi, che chiamiamo filosofo l'uomo – o la donna – dai molti studi, dal lessico esoterico, dal perverso gusto per teorie lontane dalla vita quotidiana. Impossibile poi se siamo ammorbati da pregiudizi di obsoleti manuali, che vogliono Socrate entusiasta bevitore di cicuta, Diogene di Sinope vestito di una botte, gli Stoici teoricamente sereni anche nel toro di Falaride, ovvero rinchiusi in un toro di metallo posto sul fuoco, così insieme arsi e scottati; perfino gli Epicurei li crediamo infine convinti che il maggior piacere sia quello di non provare nulla, quindi nemmeno gioia, contentezza, felicità.
Gli scritti di Pierre Hadot introducono a tutt'altra visione della filosofia antica, già definita in altri libri come "esercizio spirituale" e "modo di vivere", e questa raccolta di brevi saggi, con il raro pregio della chiarezza anche per non addetti ai lavori, riassume questa sorta di rivoluzione nella lettura dei filosofi antichi e tardoantichi che va almeno discussa se non accettata volentieri. Il filosofo ha un dovere nei confronti della felicità, non intesa come egoistico raggiungimento di uno stato in qualsivoglia senso perfetto, ma come faticoso cammino da intraprendere insieme ai propri pari e ai discepoli. Pensiero e prassi si uniscono così nella vita comune (concessa alle donne solo nel giardino epicureo e poi nella Roma imperiale), dove un maestro cerca con i suoi di vivere al meglio, senza dimenticare la vita sociale. Per cancellare ogni dubbio bastano gli esempi di Platone e dei suoi sfortunati viaggi a Siracusa, nonché dei tanti scritti politici, o di Aristotele, precettore di Alessandro Magno, autore di una Politica e di almeno tre Etiche. La filosofia non era quindi un mestiere come l'ingegneria navale o la culinaria. Era un modus vivendi, perfettamente inserito nella vita sociale (anche quando dava fastidio, come nei casi del giustiziato Socrate o dell'autoesiliato Aristotele), che attraverso lo scambio tra maestro e allievi non si stancava mai di cercare. Forse che la felicità sia proprio nella ricerca? Ma non è vero, non è solo in questa. Perché gli antichi non si vergognano di parlare di momenti per i quali una vita intera vale la pena di essere vissuta, di pienezza della felicità di chi ha salute e amici, di impegno nelle cose del mondo, ma sempre pronti: «se il timoniere ti chiama, lascia perdere tutto, e corri alla nave senza nemmeno voltarti indietro», così Epitteto. Parole simili a quelle della rivelazione cristiana. Porfirio scrisse un'opera sulla filosofia rivelata dagli oracoli, ne parleremo una delle prossime domeniche. Ora solo un ringraziamento a Pierre Hadot, che ha dedicato la vita a farci scoprire quanta vita ci sia nelle parole antiche.
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Pierre Hadot, La felicità degli antichi, introduzione di G. Guidorizzi, traduzione italiana di A. Ghilardotti, Raffaello Cortina Editore, Milano, pagg. 156, € 16,00

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