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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2012 alle ore 13:34.

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L'attuale rivista mensile "Musica Jazz" fu fondata nel 1945 a Milano da Giancarlo Testoni, di professione paroliere di canzoni e contemporaneamente grande esperto di jazz che ne assunse la direzione. Nel 1938, in pieno regime fascista, tutt'altro che ben disposto verso la musica afro-americana, Testoni aveva dato vita pure a Milano, insieme con l'amico Ezio Levi (che dovette subito ritirarsi in quanto ebreo: proprio il 1938 è l'anno delle famigerate leggi razziali), al primo jazz club italiano. Inutile dire quante e quali furono le difficoltà.

Nato in agosto come quindicinale di musica leggera con il titolo Musica e Jazz (e con l'editoriale «Un sogno che si avvera») il periodico tirò avanti così sino alla fine del 1946, quando trovò un provvidenziale editore nelle Messaggerie Musicali di Ladislao Sugar che poi lo assistette per ben 35 anni.

Il primo numero del 1947 uscì come mensile e con il nuovo titolo, Musica Jazz. La redazione storica riunì i maggiori intenditori del settore: oltre a Giancarlo Testoni ci furono Arrigo Polillo, Roberto Leydi, Pino Maffei, Giuseppe Barazzetta, Enzo Fresia e Oscar Moiraghi, gli stessi che nel 1953 riuscirono a pubblicare l'Enciclopedia del Jazz, pagine 500, editore Messaggerie Musicali: un altro sogno che si era avverato. Nel tempo, dopo Testoni, si sono avvicendati come direttori Arrigo Polillo, Pino Candini, Claudio Sessa e Filippo Bianchi: dal prossimo numero di febbraio sarà direttore Luca Conti.

Il fascicolo di gennaio 2012, attualmente in edicola, reca sopra il sommario la dicitura «anno 68 n.1». Sono 734 numeri complessivi, usciti sempre puntualmente, che fanno della «rassegna di informazione e critica musicale» italiana uno dei mensili specializzati più antichi al mondo, che ancora più antico avrebbe potuto essere se non si fosse posto di traverso il regime di cui sopra.

Questo excursus storico, dedicato ai non addetti, serve da preambolo a un problema che invece interessa gli addetti ed è il seguente. Dal 1982 la rivista – che esce con un disco allegato, prima un lp e in seguito un cd – organizza un Top Jazz, un contest fra musicisti di jazz distinti per strumenti, orchestre, nuovi talenti, dischi, musicisti e compositori/arrangiatori dell'anno, eccetera. Per più di vent'anni il contest è stato esteso anche ai musicisti americani ed europei, poi è stato limitato ai musicisti italiani.

La decisione ha voluto essere un riconoscimento all'alto livello conseguito dal jazz nazionale, che oggi perfino in America è riconosciuto fra i migliori al mondo. Giusto. Chi si interessa a queste cose da lungo tempo ricorda bene quanto il jazz francese, per esempio, sia stato portato in palma di mano dai critici d'oltralpe e quali vantaggi ne abbia ricavati, talvolta oltre i meriti.

Nello stesso tempo il jazz italiano soffrì non poco dell'esterofilia (diciamo meglio americofilia, sebbene il vocabolo sia brutto) dei propri esperti, sempre attenti a ogni minima virata di prua del jazz d'oltre oceano e assai meno alle imprese, spesso autonome e brillanti, dei Gaslini & C. di casa. La limitazione del Top – i cui risultati e il cd degli eletti escono ogni anno in gennaio – ai soli italiani ha evitato (sembra un paradosso, ma non è così) l'attribuzione delle prime posizioni troppo sovente agli stessi nomi.

Quest'anno – e qui per forza mi rivolgo più da vicino agli addetti – hanno vinto nei vari settori Giovanni Falzone per il cd dell'anno, Rita Marcotulli musicista dell'anno, Franco D'Andrea Quartet e Livio Minafra Quartet ex aequo per le orchestre, Fulvio Sigurtà nuovo talento, Dino Betti van der Noot compositore, e come strumentisti dell'anno Giovanni Falzone, Francesco Bearzatti, Franco D'Andrea, Lanfranco Malaguti, Enzo Pietropaoli, Zeno de Rossi, Maria Pia De Vito, Stefano Pastor.

Eppure…Eppure chi frequenta gli ambienti del jazz e della musica in generale sente i mugugni, eccome. L'accusa principale è quella di provincialismo, di ritorno alle conventicole del passato. E' vero? Non mi dilungo oltre. Si richiedono pareri, grazie.

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