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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2012 alle ore 08:15.

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Conduce una vita per lo più non facile, ben lo si sa, il musicista di jazz, ma non senza qualche privilegio, a cominciare dal diritto di essere ascoltato sempre. È per la costante (storicamente non inedita ma altrove mai così tanto praticata) dell'improvvisazione che lo fa essere ogni volta nuovo. Quante volte Armstrong avrà suonato, variando tempi, umori e linee melodiche, Basin Street blues, o Coltrane My favorite things? E chi non vorrebbe averle tutte, queste gemme?
Ma non basta. Il jazzista è anche da ascoltare quando parla o meglio scrive, aprendoci insospettati spiragli per scrutare nel suo mondo. E ora che Wynton Marsalis è stato nominato corrispondente culturale per la Cbs (ha iniziato questa settimana con un ritratto di Martin Luther King nella trasmissione Cbs This Morning) la conferma arriva più che autorevole. Del resto, la letteratura sul jazz è sempre più fitta nello scaffale dello studioso e dell'appassionato: dall'intero scibile di più o meno corpose enciclopedie a indagini minuziose. Pensiamo a quanto ancora stimoli a ricercare e discutere, dopo cinquant'anni, quel vertice di assoluta creatività che fu Kind of blue di Miles Davis, caposaldo della sua concezione "modale" della musica: si poteva credere che Ashley Kahn avesse già raccontato tutto di quell'album, ma ecco ora Richard Williams ampliare assai lo sguardo nel libro (vedi sotto) che lo stesso editore, il Saggiatore, ha fatto rapidamente tradurre. E poi volumi di musicologia, storie anche locali, biografie, discografie ordinate e particolareggiate, di tutto. Ma tra quei miliardi di parole un posto di rilievo hanno appunto quelle dei personaggi stessi, sovente più significative di un intero saggio. A partire da Davis si può citarne proprio la clamorosa autobiografia Miles, uscita nel 1989 e in Italia già rimbalzata tra due editori (subito Rizzoli e ora minimumfax).
Ma il primo jazzman a concedere ai posteri questi blocchi di storia orale fu probabilmente nel 1941 William Christopher Handy, l'autore di Saint Louis Blues, ma abbastanza presto si mossero Mezz Mezzrow (Really the blues, '46), Eddie Condon (We called it music, '47), il sommo Armstrong (My life in New Orleans, '54) e la penetrante, disperata Billie Holiday (Lady sings the blues, '56). Poi le autobiografie di musicisti acuti come Max Kaminsky e Willie "The Lion" Smith, finché, nel 1971, Charles Mingus lanciò il suo Beneath the underdog (nelle versioni nostrane Peggio di un bastardo) che forse era un po' troppo fantasioso per essere considerato una vera autobiografia, e nel '73 Duke Ellington diede al mondo quel suo Music is my mistress (non sempre il capolavoro che sarebbe potuto essere, ma insomma...), voltato in italiano da più editori. Nel '79 Dizzy Gillespie diede il suo arguto To Be or Not to Bop. Negli anni Ottanta firmarono libri, dicendo di sé, Barney Bigard (With Louis and the Duke), Buck Clayton, Bill Coleman, Milt Hinton, Andy Kirk, Anita O'Day, nei Novanta è apparsa l'autobiografia di Count Basie, Good morning blues (così minuziosa da essere talora pesantuccia, ma sempre esaltante, e lodevolmente tradotta) e sono spuntate pagine postume (As though I had wings; in Italia Se avessi le ali) di Chet Baker. Tra le espressioni più recenti, da ricordare quelle di Lee Konitz in un bel libro tradotto anche in italiano (Conversazioni sull'arte dell'improvvisatore, Edt), mentre sarebbe imperdonabile se il lettore dimenticasse il magnifico Musica dentro di Paolo Fresu.
Si potrebbe continuare con questo invito rivolto al lettore ma anche agli editori, perché opere simili entrino e restino in circolazione. E magari in lingua nostra. Una fondamentale collezione di storia orale come Hear me talkin' to ya di Shapiro e Hentoff, uscita nel 1955, soltanto pochi mesi fa è stata tradotta, ma non lo è mai stato quella specie di seguito che fu nell'85 Swing to bop di Ira Gitler.
Una raccolta di ben minori dimensioni ma gustosa è quella, recentissima, di Filippo Bianchi, ex direttore della rivista «Musica Jazz»: si chiama non a torto 101 microlezioni di jazz (22Publishing Editore). Dice uno di quei maestri, Duke Ellington: «Il jazz è sempre stato un po' come il tipo d'uomo con cui non vorreste che vostra figlia uscisse». E invece, per fortuna, sembra che nulla di quanto i jazzisti dicono vada perduto.
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