Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2012 alle ore 08:13.

My24

«Voi in che lingua fate lezione all'università?». «In italiano, ovvio!». «E come fate a farvi conoscere al l'estero? Noi insegnamo tutto in inglese». «Ma così rischiate di perdere l'amarico, la vostra lingua». «In altre parti dell'Africa è già successo. Bisogna scegliere, e noi abbiamo scelto di essere cittadini del mondo». I giovani che mi stanno di fronte, a cena nell'unico ristorante di Debra Berhan - anonima cittadina in piena espansione a poco più di cento chilometri da Addis Abeba - sono i professori dell'Università locale. Tutti riuniti per la visita di una delegazione della Società geografica italiana e dell'Università di Perugia. «Collaboriamo - ci chiedono in coro - Non lasciateci soli quaggiù». Qualcuno si è specializzato in India o in Nord Europa ma poi è tornato. Chi li ha preceduti lasciava senza rimpianti uno tra i paesi più poveri al mondo per studiare e trovare migliori condizioni di vita altrove, mentre loro adesso vorrebbero rimanere. Devono però imparare tutto. Sono disposti persino a pagare docenti stranieri desiderosi di recarsi laggiù: viaggio, vitto, alloggio e uno stipendio decoroso. Lo Stato li finanzia e i soldi non mancano. Mancano le conoscenze. I soldi e l'inglese non ti fanno automaticamente cittadino del mondo. Sono comunque un inizio. Così avrà pensato il governo etiope nell'avviare la sua mastodontica campagna per la scolarizzazione del Paese. Negli ultimi tempi in Etiopia, coi confini relativamente acquietati, tutto va veloce. L'economia cresce a ritmi sbalorditivi, in città i palazzoni luccicanti nascono come funghi (e con la stessa casualità), e l'istruzione tiene il passo. Ancora nel 2005 l'Etiopia aveva il più alto tasso di analfabetismo di tutta l'Africa sub sahariana, ma promette per il 2015 di portare tutti i bambini a scuola e ridurre significativamente l'analfabetismo negli adulti. È uno degli otto Millennium Development Goals stabiliti al Millennium Summit delle Nazioni Unite nel 2000 (che coincide in pratica coi dettami di Education For All ribaditi a Dakar sempre nel 2000), e l'Etiopia sembra potercela fare. Non è un compito facile nel secondo paese più popoloso d'Africa dopo la Nigeria, e con una popolazione in aumento costante, ma lo sforzo è palpabile anche negli angoli più remoti del Paese.
L'abbiamo sperimentato anche noi quando tre anni fa siamo scesi nella regione di Ankober, a 40 chilometri da Debra Berhan. Era un tempo la sontuosa patria di re Menelik ma anche patria d'elezione del perugino Orazio Antinori, il primo segretario della Società geografica che visse ed è sepolto a Let Marefià, villaggio di poche capanne a un paio d'ore di marcia da Ankober. Volendo portare un piccolo aiuto alla comunità, ci chiesero subito di costruire proprio una scuola «dove finalmente i bambini potranno studiare seduti e sui banchi e non più in terra», come disse trionfalmente all'inaugurazione il capo religioso locale. E se prima quei bambini faticavano persino a terminare le classi dell'obbligo perché richiamati al lavoro nei campi, ora i più bravi vengono incoraggiati e aiutati a proseguire. Il governo li destina all'università di propria scelta dove sono spesati di tutto e poi forse, quando lavoreranno, restituiranno allo Stato la cifra investita per loro. Dopotutto, una legge recente richiede la laurea a tutti gli impiegati degli uffici pubblici, e la laurea è sempre più indispensabile anche altrove. Così oggi in Etiopia le università si moltiplicano.
Ne sono sorte più di venti in pochissimi anni, una decina solo nel 2010. Sorgono gli edifici: aule, laboratori e dormitori per gli studenti. Gli studenti lievitano: Debra Berhan è nata cinque anni fa con 725 studenti, ed è giunta quest'anno a 7626. Ma chi insegna? Non c'è altra scelta: gli studenti stessi freschi di laurea. I giovani, tanto sprovveduti quanto motivati, che hanno cenato con noi quella sera e sono poi venuti in massa all'inaugurazione del Centro di ricerca che Società geografica e Università di Perugia hanno ora costruito sempre ad Ankober (col sostegno del Comune di Roma). Per loro il centro è un'opportunità irripetibile di creare contatti con colleghi stranieri, di aprirsi al mondo. Se chi sta all'università di Addis Abeba è addirittura corteggiato da cattedratici e Ong di ogni dove, loro sono pressoché ignorati da tutti. Hanno solo qualche contatto con ingegneri indiani, con un'università statunitense per ricerche di medicina, con Parigi per un master in Beni culturali. Il nuovo Centro italiano, per quanto piccolo, dovrebbe ospitare ricercatori desiderosi di indagare una terra rimasta, a differenza di buona parte dell'altopiano etiope, pressoché inalterata dai tempi di Menelik e Antinori, e proprio per questo inserita nell'Eastern Afromontane Hotspot, uno dei 34 "punti caldi" della biodiversità del pianeta. Una terra assai poco studiata da quando Antinori vi fondò la "Stazione geografica e ospitaliera" per scoprire la flora e la fauna locali, ospitare esploratori di passaggio e soprattutto aiutare con le proprie conoscenze la gente del luogo. Quale occasione migliore, dunque, per i giovani di Debra Berhan di lavorare gomito a gomito con colleghi da tutto il mondo, come fecero già i loro antenati con Antinori. Certo, loro preferirebbero collaborare con ingegneri, in particolare civili visto il frenetico boom edilizio del paese. Ma va bene qualsiasi disciplina purché si trasmetta loro quella che il compassato ma dinamico rettore, Getachew Tefera Dessie, ha definito "etica della ricerca" e che noi chiameremmo più semplicemente "metodo". Durante i seminari di lavoro congiunti, li abbiamo visti noi stessi in seria difficoltà nell'ordinare le idee, stabilire priorità, utilizzare il computer. Imparare è ora la loro "sfida" prioritaria, e challenge è la parola d'ordine che più si ripete in ogni aula accademica. È chiaro che parlano per frasi fatte ma il loro entusiasmo è magnetico. E se quando citano la loro seconda "sfida", il community service, non si è certi che ne conoscano bene il significato, c'è però chi ha già le idee chiare.