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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2012 alle ore 08:15.
La battaglia dell'arcivescovo Marcel Lefebvre contro il concilio Vaticano II cominciò prima ancora della sua apertura, nei lavori della commissione preparatoria, ne accompagnò lo svolgimento e proseguì in forme sempre più esplicite e aspre fino alla fondazione della Fraternità sacerdotale san Pio X e del seminario di Ecône nel 1970, alla sospensione a divinis decretata nel 1976 da Giovanni Paolo II per le ordinazioni sacerdotali da lui compiute contro il divieto di Roma, alla consacrazione scismatica di quattro nuovi vescovi nel 1988 e alla scomunica latae sententiae che ne conseguì. Una scomunica revocata infine dopo lunghe trattative con il motu proprio papale del 21 gennaio 2009. Campane a festa, tutto è bene quel che finisce bene: quella battagliera e tenace pattuglia di inguaribili tradizionalisti, avversi non solo alla nuova messa di Paolo VI, ma anche alla libertà di coscienza sancita dal concilio, all'ecumenismo, allo spirito di fratellanza con l'ebraismo, schierati contro ogni compromesso con il mondo moderno, visto come un verminaio di perniciose eresie protestanti, liberali, massoniche e comuniste, era dunque scesa a più miti consigli ed era tornata nell'ovile di santa Chiesa? Quel perdono era dunque la conseguenza di un pentimento, o almeno di un atto di obbedienza di chi aveva infine ottenuto le agognate deroghe in materia liturgica?
Niente affatto, ci spiega questo libro che studia le vicende della Fraternità lefebvriana non solo e non tanto come problema storico in sé, ma soprattutto come cartina di tornasole degli «attuali orientamenti del papato romano», quali essi si sono manifestati nel misurarsi con quella pungente spina nel fianco. Da queste dense pagine, fondate sul consueto rigore documentario e metodologico di Miccoli, emerge piuttosto la progressiva presa di distanza dei vertici curiali dagli "eccessi", dagli "arbitri", dagli "sconfinamenti" nell'interpretare i documenti ufficiali scaturiti dal Vaticano II, sempre più ridotto a concilio pastorale, deprivato di valenze dottrinali, depotenziato delle sue istanze più profonde. Si assiste così agli esiti di un processo lungo e tormentato, protrattosi per oltre mezzo secolo tra molteplici difficoltà, resistenze, contraddizioni, conflitti interni, con i rinnovatori di ieri diventati i conservatori di oggi, in un processo di restaurazione che rischia di diventare a sua volta motivo di ulteriori fratture e lacerazioni.
Non c'è dubbio infatti che Lefebvre avesse ottime ragioni nel proclamare che il concilio aveva mutato, anzi rovesciato posizioni dottrinali e morali che avevano accompagnato la storia dell'intransigentismo cattolico fino alla Mirari vos di Gregorio XVI, al Sillabo di Pio IX, alla dura lotta contro il modernismo, al trionfalismo papale di Pio XII: il che tuttavia, almeno in una certa misura, era proprio ciò che i fautori del concilio avevano inteso fare, per liberare la Chiesa dall'arcigno castello in cui aveva finito con il rinchiudere se stessa e per rilanciarne l'azione evangelizzatrice in termini nuovi e in un mondo profondamente cambiato. Posizioni inconciliabili, come i lefebvriani continuarono a denunciare per decenni, forti della loro rocciosa fedeltà alle dottrine "di sempre", alla messa in latino "di sempre", alla Chiesa "di sempre", al conservatorismo sociale e all'autoritarismo politico "di sempre", anche se denunciare le deviazioni, gli errori, le vere e proprie eresie dei pontefici, celebrare liturgie messe ad bando, consacrare vescovi a dispetto della sospensione a divinis, essere la prova evidente di un deprecabile pluralismo cattolico imponeva difficili equilibrismi e una costante duplicità di linguaggio. Un'inconciliabilità che invece la Chiesa romana ha cercato di attenuare con atteggiamenti sempre più morbidi, soprattutto durante il pontificato di Benedetto XVI, come risulta tanto dai documenti ufficiali della Santa Sede quanto dalle dichiarazioni di alti prelati, a cominciare dal cardinale Castrillón Hoyos, cui fu affidato il compito di riassorbire quel dissenso lefebvriano cui andavano tutte le sue simpatie. Di qui la crescente disponibilità a trovare un accordo, a mettere sotto silenzio i punti più spinosi, a salvare la forma più che la sostanza dell'eredità conciliare e talora anche a incassare senza batter ciglio le critiche più severe (si veda per esempio sul sito www.sanpiox.it l'ultima lettera del successore di Lefebvre, Bernard Fellay, indirizzata il 21 dicembre 2011 agli amici e benefattori della Fraternità).
Il lavoro di Miccoli ricostruisce la tradizione reazionaria e integralista del cattolicesimo da cui Lefebvre proveniva, le vicende che portarono alla rottura con Roma, il frammentarsi della Fraternità al momento della scomunica e soprattutto il faticoso ricomporsi dello scisma. Così facendo esso finisce con l'addentrarsi nella trama di prudenziali silenzi, progressivi cedimenti, elusive ambiguità delle formule curiali per cogliere la sostanza del problema storico che esse si sforzavano di aggirare e che le affermazioni di quegli intransigenti tradizionalisti affrontavano invece di petto. Era lo stesso problema, del resto, al quale il Vaticano II aveva cercato di dare una risposta: quello del difficile, per non dire conflittuale rapporto tra la Chiesa e la storia, tra il chiamarsene fuori come giudice di essa in quanto custode di una perenne verità divina o il sentirsene parte integrante, portandone l'oneroso fardello (ivi compreso quello dei suoi errori), tra il compito di preservare verità di fede immutabili nel tempo o l'esigenza di affrontare l'incessante cambiamento dei modi di pensare, di agire, di sentire che investe anche la religione. Al concilio di Trento, per combattere il sola Scriptura dei protestanti, la Chiesa cattolica elevò il suo magistero, fondato sulla tradizione apostolica, al rango di fonte dalla rivelazione al pari della parola di Dio. Quella tradizione in realtà conobbe molteplici mutamenti nel corso dei secoli e la Chiesa "di sempre" dei lefebvriani altro non è che l'arcigna Chiesa tridentina protrattasi da Pio V a Pio XII che il Vaticano II cercò almeno in parte di superare. A distanza di oltre mezzo secolo è lecito dire – e questo libro aiuta a capirlo – che il ripiegamento è in corso su tutta la linea e che la Chiesa del futuro sembra annunciarsi sempre più simile a quella del passato.