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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2012 alle ore 08:16.

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«Da quale stella siamo caduti per incontraci qui?» È Nietzsche che parla, siamo alla terza scena (su dieci) dell'opera in due atti Lou Salomé di Giuseppe Sinopoli. Il debutto ieri sera alla Fenice, prima esecuzione a trent'anni dall'esordio, a Monaco. Seconda in assoluto nella storia, a dieci anni dalla morte dell'autore. È lui la terza scintilla di luce, caduta da chissà dove e tornata a illuminare la sua Venezia. L'altra stella, è lei, la magnetica scrittrice, filosofa, psicoanalista di San Pietroburgo, nata con l'istinto affilato di attrarre a sé molti uomini – dopo Nietzsche, Rilke e Freud – tessendo continuamente insieme i fili di amore e morte.
Il soggetto, intensamente teatrale, viene dipanato dal libretto di Karl Dietrich Gräve: fedele alla biografia di Lou Salomé, narrativo, mai didascalico. Al contrario: denso di squarci di poesia filosofica (da Nietzsche, bella forza). Ma la vera sorpresa è la partitura di Sinopoli, autentica rivelazione. Chi prevedeva il classico omaggio postumo, si è dovuto ricredere: questo è il caso incredibile di un'opera riscoperta. Rimasta nel cassetto per oltre un quarto di secolo, mai più osata da nessun teatro nel mondo. Bravi alla Fenice, che cogliendo i classici due piccioni – il tributo al Maestro elettivamente veneziano, e la continuazione del filone dei compositori cittadini del Novecento, dopo i precedenti Maderna e Nono – si è trovata a rilanciare un gioiello. Intriso di lirismo, di pennellate pucciniane, con una scoperta citazione da Tosca, danze trivial mahleriane, ma anche con una drammaturgia innovativa, perfetta nel gioco dei doppi, tra canto e prosa, fitta di melologhi incantati. Ora Lou Salomé si merita di continuare a circolare. A una condizione: con questo allestimento.
Perché il team Ronconi-Ripa di Meana-Palli, chiamati a tutors di una squadra di studenti dello Iuav, Facoltà di design e arti di Venezia, ha voluto una disposizione per lo spettacolo perfetta: un guanto per la musica e l'idea di teatro dietro, funzionale al dispiegarsi a vista dell'enorme schieramento orchestrale, messo in palcoscenico, e che soprattutto tanto sarebbe piaciuta (lui, il greco) a Sinopoli. Via le poltroncine rosse della platea, come per la Cavalchina, a carnevale, disposte a cerchio intorno ai palchi – oh, che perfetta visuale adesso – l'azione stava tutta al centro sala. Qui era cresciuto un enorme albero di betulla. Un po' spiazzante di primo acchito. Un po' futuribile nel finale (sul Coro conclusivo, unico punto macchinoso della scrittura, troppo tributo al dovere di essere concettosi, la Fenice è inondata di fiamme, aiuto, sembra un fuoco vero, e l'albero come cresciuto lì, sulle rovine del teatro che fu). Un po' geniale oggetto di scena, perno della sala totalmente reinventata.
Il sornione Ronconi, di suo ci ha aggiunto il gesto topico della colata dei libri, da un palco fino a lambire il palcoscenico, semisepolti dalla sabbia, triste destino delle biblioteche, qui si immagina quella di Nietzsche. Bene, ha detto il sovrintendente Chiarot: lo spettacolo costa poco, ci fa anche risparmiare. Ennesima riprova che soldi e idee non sono necessariamente proporzionali. E che la musica sia grande lo testimonia la dedizione degli interpreti, prima su tutti Angeles Blancas Gulin, la protagonista, canto e fisico generosi. Ottimi Orchestra e Coro, disciplinati severamente da Lothar Zagrosek. Splendido torso, opera sola, la Lou di Sinopoli è tornata stella.
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Lou Salomé, di Sinopoli; direttore Lothar Zagrosek, regia Iuav; Venezia, Teatro La Fenice, fino al 28 gennaio

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