Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:16.

My24

Se la ventilata riforma che porterà all'abolizione del valore legale delle lauree arrivasse in porto, assisteremmo a una rivoluzione più incisiva di quel che ci si può aspettare. Ovviamente la riforma funziona fino a un certo punto: non si potrà arrivare al fatto che un laureato in sociologia possa progettare ponti o che un laureato in pedagogia possa fare analisi biologiche. Però si potrà tranquillamente avere che un laureato in filosofia concorra per un posto nell'amministrazione pubblica o che un laureato in musica possa concorrere per un ruolo in una amministrazione economica. A decidere sarà la sua capacità di piazzarsi bene al concorso specifico.
Funziona già così in molti Paesi, soprattutto quelli di matrice anglosassone, dove a contare sono le qualità di intelligenza e di capacità di studio e di applicazione del candidato, non la presunzione che aver fatto il corso di una certa disciplina significhi che effettivamente quella materia sia conosciuta al livello necessario. Lì, la formazione vera si fa sul posto di lavoro.
Se questa riforma aprirà il mercato del lavoro, mette però un peso notevole sul nostro sistema di formazione universitario. Infatti conteranno relativamente le "nozioni" che è capace di far accumulare (peraltro oggi poche e confuse in moltissimi casi!), ma piuttosto l'addestramento che riesce a dare nell'esercizio di quelle che, per semplicità, chiameremo la ragione critica, la capacità di analisi, l'acume nell'individuare e vivisezionare i problemi.
A parole tutti credono di essere capaci di insegnare in questo modo, illudendosi che così si possa diminuire il livello di preparazione ampia che è oggi richiesto a un docente universitario. In realtà è tutto il contrario: solo chi ha una preparazione molto ampia, un training specifico e molto rigoroso, una sicura frequentazione degli ambienti più competitivi della ricerca internazionale è in grado di garantire un livello di insegnamento di quel genere.
È questo il livello normale del nostro insegnamento, specialmente nelle facoltà dell'area umanistica e sociale che sono quelle su cui peserà maggiormente la "rivoluzione" dell'abolizione del valore legale delle lauree? Ovvio che di buona ricerca e di studiosi di livello in Italia ce ne sono, ma qui la questione riguarda la "media" della presenza di queste qualità, e qui il discorso va fatto in maniera impietosa.
Il sistema italiano sconta in questi settori la mancanza di parametri sufficientemente certi e applicabili per valutare il posizionamento dei ricercatori. Non c'è qui nulla di simile all'impact factor o agli altri sistemi di ranking su cui contano le scienze "dure". Così la valutazione è spesso (ovviamente non sempre) lasciata nelle mani di corporazioni in cui chi giudica, essendo, diciamo così, mediocre, è restio a far passare giovani studiosi che chiaramente lo metteranno in ombra, vedendo per di più penalizzati quelli che lui ha malamente allevato. Anche se non bisogna prestare fede a tutti i mediocri scartati che si autoproclamano aquile sfruttando la presunzione che il sistema funzioni sempre solo a discapito dei migliori, il problema esiste e andrà affrontato.
La concorrenza internazionale sta diventando terribile perché i grandi Paesi spendono cifre imponenti per promuovere le loro università di eccellenza e all'interno di esse i centri che sono in grado di conquistarsi un alto livello nelle classifiche internazionali: e non solo nei settori "scientifici" dove i vantaggi sono evidenti, ma anche in quelli del comparto umanistico-sociale. Da noi non solo si fa pochissimo per il sostegno finanziario di essi, ma non si affronta neppure il tema di fondo per poter essere presenti sul mercato internazionale: quello di esporre i risultati delle ricerche in lingua inglese.
So bene che i puristi si inalberano e richiamano all'orgoglio linguistico nazionale. Ottima cosa, ma improduttiva: se non si conquistano quelli che non leggono l'italiano (cioè la maggior parte) rendendosi accessibili a essi, è inutile sperare che ci inseriscano davvero nelle parti alte delle classifiche e, diremo di più, che i migliori di loro comincino a pensare che se studiassero un po' d'italiano avrebbero accesso a una ottima letteratura scientifica.
Soprattutto poi se non riusciamo a farci valutare e stimare sul mercato globale, i nostri giovani rimarranno tagliati fuori e noi non attireremo presso le nostre università i migliori giovani degli altri Paesi. Questo è un obiettivo che dobbiamo porci, perché solo così l'abolizione del valore legale delle lauree avrà un significato maggiore che non quello di consentire un più ampio accesso ai concorsi delle amministrazioni pubbliche.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi