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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:14.

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di Stefano Folli La lezione civile di Alberto Cavallari è tornata attuale l'altro giorno a Roma
nelle parole di Ferruccio De Bortoli, Claudio Magris e Corrado Stajano, nonché nel messaggio inviato dal Capo dello Stato, ma
il merito di questo "revival" è tutto
di Marzio Breda. L'inviato del «Corriere» ha raccolto in un bel libro edito da Aragno un'antologia degli scritti del grande giornalista. Un'iniziativa preziosa che forse permetterà a tanti, soprattutto ai giovani, di conoscere e apprezzare
lo stile impareggiabile e lo spessore professionale di Cavallari, scomparso ormai da quasi quattordici anni.
Il libro equivale a una biografia intellettuale. C'è il giovane che comincia diciottenne all'«Italia Libera», giornale del Partito d'Azione, e che definisce se stesso in questi termini: «Sono un Gl, Giustizia e Libertà, più la lezione di Piero Gobetti, più il Gramsci che piacque a Gobetti». Questi sono i «maggiori» di un ragazzo in cui si fondono passione politica, cultura civile e slancio verso
il giornalismo. Cavallari è destinato a diventare in breve l'uomo delle grandi inchieste, delle interviste difficili, l'inviato nei teatri di guerra o sul palcoscenico delle tragedie nazionali e internazionali, l'analista raffinato che coglierà i tormenti di Paolo VI in una conversazione senza precedenti.
Nel libro di Breda c'è tutto questo e molto di più. Si restituisce al lettore
la tensione di un passaggio cruciale:
la direzione del «Corriere della Sera» affidata a Cavallari – con l'intervento decisivo di Sandro Pertini – nel 1981, per salvare la testata dallo scandalo della P2, sullo sfondo di una tragedia da poco consumata: l'omicidio
di Walter Tobagi a opera di terroristi di sinistra. Anni terribili per
il quotidiano di via Solferino. Anni che Cavallari affronta con determinazione e in sostanziale solitudine.
Così egli stesso ne darà conto qualche anno dopo, in uno scritto
del 1987 compreso nell'antologia: «Nell'estate dell'81 scoppiò la nota crisi del "Corriere" provocata dallo scandalo P2 e dal dissesto economico. Il giornale fu travolto da un doppio crollo, ridotto a una maceria, e mi si chiese di dirigerlo per fronteggiare il disastro, togliere il fango dalla testata, contrastare il fallimento incombente... Mi aspettava una battaglia disperata che si sarebbe svolta nell'ostilità di tutti: coi concorrenti interessati a far morire il "Corriere" per spartirsi le
sue copie, coi partiti desiderosi di catturarlo per spartirsi il suo potere, coi creditori che l'asfissiavano, con la redazione dilaniata da cento lotte interne. Sapevo che a Milano avrei trovato solo solitudine, fatica, rischio. Ma il "Corriere" era stato il mio giornale negli anni belli. Non potevo rifiutare l'impegno negli anni brutti».
Cavallari lascia dunque la sua residenza di Parigi ed entra in via Solferino in nome della "questione morale". Ci rimarrà circa tre anni. Breda non pretende di ricostruire quella drammatica esperienza, ma
ne scrive con l'affetto di un amico e
di un allievo. Quando nell'84 lascia
la direzione e torna a Parigi, Cavallari è «un uomo segnato». Più solo ancora di quando era arrivato. Ha scoperto
la verità della massima di Alessandro Pizzorno: da noi «la società civile è molto incivile».
Resta a questo grande intellettuale europeo la stima degli amici e
un posto d'onore nella storia del giornalismo. Restano ancora alcuni anni da vivere, purtroppo non tantissimi, di libri da scrivere e
di articoli da proporre a «Repubblica», dove ha cominciato a collaborare su invito di Eugenio Scalfari. Un laico autentico, affascinato dalla cultura della Chiesa e dagli uomini che la esprimevano al meglio: da Carlo Maria Martini ad Achille Silvestrini, per lungo tempo suo amico e confidente.
Di Cavallari, che ammirava Albert Camus e aveva descritto da par suo
un incontro con l'autore de La peste, rimane anche la definizione che ne ha dato Magris: «Il più camusiano dei giornalisti e degli scrittori italiani». Una frase che dice tutto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alberto Cavallari, La forza di Sisifo,
a cura di Marzio Breda, Aragno,
Torino, pagg. 258, € 15,00

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