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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:13.

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Non ha vinto il Booker Prize 2011, toccato a Julian Barnes, ma lo hanno inserito nella cinquina finale e, dunque, può ritenersi egualmente soddisfatto. Stephen Kelman è infatti un esordiente e con Soffiando via le nuvole si è imposto all'attenzione di una giuria assai attenta alla qualità delle opere. Anche alla critica e al pubblico è piaciuto questo libro che si ispira a un episodio di cronaca nera (l'omicidio di un ragazzino nigeriano in un quartiere periferico della capitale inglese) per dar conto della vita quotidiana di un gruppo di adolescenti in una Londra sconosciuta ai più, dove le gang spadroneggiano e le regole del branco vengono fatte rispettare persino nelle aule scolastiche.
Se il tema non è certo nuovo – di teenager brutti, sporchi e cattivi Sillitoe parlava poco meno di un mezzo secolo fa –, è invece originale il taglio scelto da Kelman. Che affida un ruolo cruciale a un piccione (Pigeon English è il titolo originale) al quale il protagonista Harrison Opoku, undicenne ghanese da poco nel Regno Unito, confida pene e speranze appena il volatile va a posarsi sulla terrazza dell'appartamento in cui abita insieme alla madre e alle sorelle. Il punto di partenza della storia è un delitto: un coetaneo di Harrison viene accoltellato in strada nell'indifferenza generale, la polizia non riesce a trovare il colpevole sulle cui tracce prova a mettersi una banda di bambini di buona volontà.
Per molti aspetti Soffiando via le nuvole è una rilettura contemporanea dell'antico genere picaresco, con elementi tragici e comici mescolati insieme con maestria. La prosa di Kelman mantiene un eccellente ritmo, intrecciando registri stilistici diversi, utili per riprodurre lo sboccatissimo gergo maschile di strada, il frivolo cicaleccio delle ragazze e, naturalmente, i messaggi trasmessi a Harrison dall'amico piccione. È proprio la solidità della scrittura di questo trentacinquenne originario di Luton l'elemento di maggiore interesse del libro, poiché la vicenda avanza seguendo binari prevedibili. E, del resto, non potrebbe essere altrimenti, visto che le storie di emarginazione urbana – nei romanzi e anche al cinema – raramente si allontanano dal medesimo canovaccio e non contemplano la possibilità di un finale lieto.
Chi, poi, vuole approfondire l'origine dei riots che lo scorso agosto hanno incendiato l'Inghilterra troverà molti elementi utili in questo libro. Kelman riesce infatti a trasmettere al lettore l'atmosfera elettrica e carica di violenza delle periferie metropolitane in balia di gang di adolescenti scatenati a caccia di beni di lusso, di sesso o di droga. Dietro a Soffiando via le nuvole si scorgono i modelli ai quali lo scrittore si è ispirato: Sillitoe, in primo luogo, e poi il Kureishi del debutto, i testi delle canzoni del punk, le inquadrature dei film di Ken Loach. Chiusa, per fortuna, la stagione delle commedie agrodolci in salsa postcoloniale care alla classe media della Cool Britannia di matrice blairiana, si torna a una narrativa capace di sporcarsi le mani con la realtà e di riprodurne sulla pagina l'acre sapore attraverso un linguaggio cesellato con pazienza artigianale. L'approdo nella cinquina del Booker costituisce, insomma, il naturale punto di partenza di uno scrittore di cui, se riuscirà a mantenersi a questi livelli, sentiremo parlare a lungo.
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Stephen Kelman, Soffiando via
le nuvole, Piemme, Milano, traduzione
di Laura Prandino e Anna Rusconi,
pagg. 294, € 17,50

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