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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:17.

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Ibra ha lo sguardo furfante, una mano in tasca, una anonima maglietta che potrebbe essere di mercatino ma magari è elegantemente non griffata però di supermarca, manica corta da cui, sul braccio destro, spuntano i soliti tatuaggi. È quasi in 3D nel lucido dorato che lo circonda. Una ragazza dai capelli lunghi, genere "na bira e 'n calippo", la generazione dei "mocciosi", cioè dei personaggi di Moccia e del lucchetto, gli passa la mano sul viso e dà di gomito all'amica squittendo «Oh, Ibra!».
L'amica non ha occhi che per Messi, in rigorosa maglia balugrana, il colore della vittoria e del Barcellona. I due, che furono vicini di squadra, attualmente sono solo vicini di scaffale: forse qui avranno maggior fortuna, perché quando erano compagni non è che si trovassero troppo. Anzi. Anche perché, l'ha messo nero su bianco, in Io, Ibra, Ibrahimovic, l'allenatore trendy Pep Guardiola non aveva occhi che per Messi e gli costruiva il gioco intorno. È che, parola di Zlatan che non le manda a dire, «non aveva le palle».
Le aveva, e come, e sta poco più in là nella mostra, il tennista André Agassi, che, tutta farina del suo sacco, è dall'ultima estate che guarda un po' allucinato dalla copertina del suo Open. Ha ragione di avere uno sguardo così sperduto se è vero, come racconta nel libro e non c'è da dubitarne, che il papà gli diceva ogni mattina «se colpisci 2500 palle al giorno, cioè 17500 la settimana, cioè un milione in un anno, non puoi che diventare un numero uno» e su questo lo spediva in cortile a passare la sua vita con il drago, un macchinario infernale sputapalle di sua invenzione, con il quale il piccolo André era obbligato a confrontarsi come i bambini d'oggi, per scelta loro e quieto vivere genitoriale, con la playstation o altri videogiochi da iPhone e iPad. L'ha fatto André e numero uno è diventato, con il risultato di odiare probabilmente il padre e certamente il tennis, oltre che amarli con la stessa intensità. E lo racconta bene, in questa autobiografia di successo, come di successo è stata la sua vita, grandi amori con donne come Brooke Shields o Steffi Graf, che essendo anch'essa un numero uno nel tennis e avendo avuto in sorte un padre-padrone poteva comprenderlo come nessun altro.
È l'autobiografia dello sportivo la nuova tendenza editoriale, anche se non più nuovissima giacché se ne potrebbe fare una biblioteca. Agassi, hanno detto, ha scritto non un libro di sport, ma anzi uno dei più grandi libri contro lo sport e l'alienazione che fatalmente produce a quei livelli: una vita che poco più ti appartiene, un corpo che sempre più subisce i guasti dell'essere obbligato ad andare ogni volta "oltre". L'"oltre", invece, Ibra sa come gestirlo: è il ragazzaccio delle marachelle, e non se ne risparmia una, anche se deve starsi straordinariamente simpatico e dunque la luce che ne viene fuori è sempre quella del monello. Le sue testate, i suoi gestacci: quello che scrive di sé, Ibrahimovic, è quello che mostra in campo. Che non voleva essere un nuovo Marco Van Basten ma Zlatan e basta. Con gli amici che tirano petardi nei kebab, un po' bulli. Anche Ibra, a guardarlo solo giocare, in fondo lo è.
Agassi no. Quel racconto degli anni che passano e che si sentono prima di tutto nei muscoli, l'avversario Sampras che, come in ogni dualismo, se non ci fosse stato magari André avrebbe vinto di più ma non sarebbe stato la stessa cosa (Gimondi senza Merkcx sarebbe stato meno grande), la schiena che strilla il suo male, Steffi, i bambini, gli ultimi incontri affrontando ragazzi con la metà degli anni. Agassi spiega con qualche frase appena l'essenza del tennis, del game, del quindici, e come questo sport sia fisico quel poco che basta ma psicologico quel tanto che da fuori non riesci a capire. André ti porta dentro il campo. E dentro se stesso. Come quando racconta della droga, o del leone svegliato durante un safari in Sudafrica, che «aveva la criniera come l'avevo un tempo io». Sono davvero i re della foresta sportiva, Ibra e Agassi. Anche se già scalpitano i "cuccioli": Bojan Krcic, attualmente attaccante (attaccante?) della Roma ha appena ventun anni ma ha già sentito il bisogno, lui o il mercato, di scrivere la propria autobiografia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Zlatan Ibrahimovic con
David Lagercrantz, Io, Ibra,
Rizzoli, Milano, pagg. 296, € 18,50
Andre Agassi, Open. La mia storia, Einaudi, Torino, pagg. 502, € 20,00

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