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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2012 alle ore 08:18.

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Ci deve essere un modo più serio, grave oppure più lieve per parlare di un giorno, se quello è l'ultimo della nostra vita. Alain Gomis, quarantenne parigino, francese di seconda generazione, ci prova con una riflessione sull'emigrazione e il colonialismo, facendo tornare il protagonista del suo Aujourd'hui - in competizione alla 62esima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino (dal 9 al 19 febbraio) - nel Paese d'origine, il Senegal. Il canadese Kim Nguyen, in concorso con Rebelle, mostra le aberrazioni della guerra civile congolese attraverso gli occhi di una bambina soldato, mentre il portoghese Miguel Gomes in Tabu racconta la storia di amore e di avventura di una lisbonese in Africa.
La Berlinale ha aperto sempre un po' più delle altre grandi rassegne la porta alla geografia del mondo meno battuta, ospitandola nelle sue sezioni: "Competizione" - quest'anno con 18 film in gara -, "Panorama", la culla degli indipendenti, "Teddy", che sposa tematiche omosessuali, "Forum", sperimentale e avanguardistica, e altre che assieme quest'anno arrivano a contare più di 400 titoli. L'Iran ha per tradizione un posto d'onore (il vincitore della scorsa edizione è stato Asghar Farhadi con Una separazione) come i Balcani, il cui recente e sanguinoso conflitto è ricordato con Nella terra del sangue e del miele, storia d'amore tra una bosniaca e un croato, dell'attrice americana Angelina Jolie per la prima volta dietro la macchina da presa.
L'Asia è ben rappresentata da una vecchia conoscenza del festival, Wang Quan'an (Il matrimonio di Tuja, Orso d'oro nel 2007 e Apart togheter migliore sceneggiatura nel 2010), che torna in concorso con White deer plain, cinquemila anni di storia cinese, basata sull'omonimo libro di Chen Zhongshi, messo all'indice per i contenuti erotici. Il trentenne filmmaker indonesiano Edwin porta sugli schermi con Postcard from the zoo la surreale storia di "normalità" di una ragazza cresciuta nello zoo di Jakarta, mentre il filippino Brillante Mendoza arriva con il molto atteso Captive, un viaggio tra gli estremisti del gruppo islamico Abu Sayyaf, che ha come protagonista Isabelle Huppert. Zhang Yimou fuori concorso presenta The flowers of war, Nanchino negli anni Trenta sotto lo stivale giapponese.
L'Italia è in competizione con i fratelli Taviani e il loro Cesare deve morire, una docufiction scespiriana girata a Rebibbia con i carcerati, mentre il G8 di Genova sarà a "Panorama Dokumente" con The summit di Franco Fracassi e Massimo Lauria, ma anche a "Panorama Special" con Diaz. Don't clean up this blood, film di Daniele Vicari con Elio Germano e Claudio Santamaria. I "nostri" saranno anche in "Culinary cinema" con Potok Ash Yoghurt di Francesco Amato e Stefano Scarafia sulle orme di un presidio di "Slow Food" in Kenya. In "Panorama" meritano menzione Cherry di Stephen Elliott sul mondo della pornografia con James Franco e Lili Taylor, il road movie nepalese Highway di Deepak Rauniyar, infine Indignados di Tony Gatlif basato sul libro Indignatevi! (ADD editore, 2011) di Stéphane Hessel, l'ex deportato che ha saputo smuovere le masse in Francia.
Meryl Streep non mancherà di ritirare l'Orso d'oro alla carriera, in attesa dell'Oscar per The iron Lady di Phyllida Lloyd. L'altra star in odore di statuetta in arrivo alla Berlinale è Stephen Daldry con Extremely loud and incredibly close, un'opera sull'11 settembre con Tom Hanks e Sandra Bullok. Film, quest'ultimo, fuori concorso, in buona compagnia con quello del regista teatrale Declan Donnellan che traspone sugli schermi Bel ami di Guy de Maupassant, sferzata attualissima sull'ipocrisia dei costumi, mentre Steven Soderbergh avrà uno "special screening" per il suo thriller Haywire. La rassegna si apre con Farewell, my Queen di Benoït Jacquot, la rivoluzione francese vista dai servi di Versaille, e si chiude con le spade volanti di Tsui Hark in Flying swords of dragon gate. Nel mezzo anche Billy Bob Thorton con Jayne Mansfield's car su cui si allunga l'ombra della guerra in Vietnam. L'austero (e amatissimo) presidente di giuria, Mike Leigh, l'avrà dura.
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