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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2012 alle ore 15:45.

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L'evoluzione c'è! Come recita la copertina dell'ultimo fascicolo di «Science» del 2005. L'anno scorso diverse scoperte hanno continuato a dimostrare che l'evoluzione accade. E riguarda anche l'uomo. Sono stati riconosciuti nuovi processi e meccanismi di speciazione ed è stato sequenziato il genoma dello scimpanzè (dal quale ci dividono 40 milioni di anni di evoluzione ma con cui condividiamo più del 98% del genoma).

Sono stati identificati geni unicamente umani. Ed è stato stabilito quali mutazioni consentirono a un virus dell'influenza aviaria di adattarsi all'uomo, e di provocare i circa 40 milioni di morti della pandemia di Spagnola del 1918. Tema di strettissima attualità, vista la notizia di ieri che anche in Italia è arrivata la H5N1. Di evoluzione dei virus influenzali e dei rischi di una nuova pandemia parleranno oggi, alle 15.00, all'Auditorium Parco della Musica di Roma alcuni esperti internazionali invitati dalla rivista «Darwin» e dalla Fondazione Sigma-Tau (www.darwinweb.it; e per trovare tutti gli appuntamenti del Darwin Day, celebrato in tutto il mondo il 12 febbraio, si veda www.uaar.it/uaar/documenti/73.html).

A quanto pare in Italia non sarebbe diffuso un pregiudizio antievoluzionistico. Un sondaggio di Observa mostra che solo il 17% degli italiani, contro il 57 degli statunitensi, pensa che Dio abbia creato gli uomini così come sono. Ben 31 su 100 in Italia (contro dodici negli Stati Uniti) pensa che l'evoluzione umana sia avvenuta senza alcun intervento divino. I restanti 38, che hanno risposto, credono nel disegno intelligente. Al di là di quello che pensano o credono gli italiani sull'evoluzione, che dipende dal livello di istruzione, la nostra situazione non è paragonabile a quella statunitense. In Italia non esiste un antidarwinismo o un "neocreazionismo" (tale è l'idea del disegno intelligente) organizzati. Gli antidarwinisti italiani sono quattro poveretti. Scientificamente e accademicamente intendo. Perché politicamente sono riusciti a influenzare il Ministero dell'Università.

Non è detto che sia la cosa più utile, a livello di comunicazione ed educazione scientifica sull'evoluzione e la biologia umana, allestire liturgie promozionali del verbo evoluzionistico. Né, forse, si coglie il problema continuando a denigrare quegli ignoranti di americani! Negli Stati Uniti hanno sì qualche problema col disegno intelligente. Ma sono anche ben attrezzati. Colà ci sono tra i migliori dipartimenti al mondo di studi evoluzionistici. E una comunità scientifica compattissima e politicamente più influente degli antidarwinisti. Se il prezzo per avere simili condizioni anche in Italia fosse quello di una maggioranza di cittadini creazionisti (come poi di fatto è tale), ci si potrebbe anche stare. E poi, dal 1993, a seguito di una sentenza della Corte Suprema, in quel paese hanno una definizione giuridica di cosa è scienza. Che adotta in parte i criteri di demarcazione di Popper. E che consente di promulgare le sentenze che dichiarano incostituzionale - in base al principio della laicità dello stato - insegnare il creazionismo o l'intelligent design nei corsi di scienze. Vogliamo mettere con lo stato penoso in cui versa il nostro Paese su questo fronte!

I rapporti tra scienza, politica e diritto sono probabilmente i temi di cui si deve discutere. E l'hanno capito scienziati come Wolpert, Blackmore, Soria, Djerassi e filosofi come John Harris e Baron, che hanno accolto l'invito dell'Associazione Luca Coscioni a discutere per tre giorni a Roma di libertà della ricerca scientifica e di rapporti tra scienza e democrazia (http://www.freedomofresearch.org/presentazione).

I filosofi, si sa, hanno delle difficoltà con il darwinismo. Patrick Tort, per esempio, è un ex-marxista che si è rivolto a Darwin per cercarvi una nuova ideologia. In un libro ora tradotto in italiano (Darwin e la filosofia. Religione, morale e materialismo, Meltemi, Roma 2006, pagg. 90, € 12,00) dimostra di avere le idee un po' confuse. Forse da troppa erudizione. Così pontifica, in un continuo gioco delle tre carte e dicendo anche qualche stupidaggine, su quello che del darwinismo è scientifico e quello che è filosofico. Il darwinismo, certo, non è una filosofia. Ma Tort si contraddice quando cerca di dimostrare che l'effetto reversivo (cioè la selezione naturale che trascenderebbe sé stessa ma solo perché Tort la concepisce come un meccanismo meramente eliminativo; che non è!) è logicamente necessario in quanto implicato da un principio dialettico. Imprinting marxiano?

È comunque sempre acceso, anche tra gli evoluzionisti, il dibattito sui rapporti tra spiegazione darwiniana dell'evoluzione e credenze religiose. Da un lato i "fondamentalisti", come li chiamava Steven Jay Gould. Cioè Dawkins, Dennet, Pinker e il variegato movimento sociobiologico, che cercano una spiegazione della persistenza delle religioni (usando spesso spesso modelli inefficaci come l'idea dei "memi") e, allo stesso tempo, auspicano che spariscano. Perché, come verifichiamo quotidianamente, oggi producono soprattutto conseguenze dannose agli individui e alle società. Dall'altro quelli che la pensano come Gould: che ha consegnato alla discussione il suo principio NOMA. Scienza e religione sarebbero "NOnoverlapping MAgisteria". Ma per primi alcuni filosofi, come James Rachels e Peter Singer, hanno rilevato la contraddittorietà delle argomentazioni di Gould. Mostrando che, di fatto, il darwinismo mette indiscutibilmente in crisi i contenuti delle religioni.

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