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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2012 alle ore 18:53.

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Spielberg al piccolo trotto, Sandler si fa in due, Clooney "sfigato"Spielberg al piccolo trotto, Sandler si fa in due, Clooney "sfigato"

Un fine settimana d'autore, questo, una tappa d'avvicinamento all'Oscar che non lascia spazio ai blockbuster. Vale la pena cominciare con il decano, Steven Spielberg, che cala sul tavolo il suo War Horse che a molti ha fatto rimpiangere l'impossibilità di premiare un cavallo all'Academy. Joy, protagonista assoluto della pellicola bellica più equina di sempre, vivrà però la stessa ingiustizia di Lassie: una grande performance, nessuna statuetta. Va detto anche, però, che il protagonista su quattro zampe è l'unico a non andare al piccolo trotto in War Horse, favoletta superficiale tratta dal bel libro omonimo di Michael Morpurgo (in Italia edito da Rizzoli). Steven si nasconde dietro qualche bella inquadratura delle sue, dietro il buonismo alla E.T. e a una retorica- ben descritta dalla sequenza finale alla Via col Vento- che risulta così antica da far tenerezza. Un film per bambini, ma solo quelli particolarmente immaturi.

Altro concorrente all'Oscar è Paradiso amaro, diretto da Alexander Payne e interpretato da un George Clooney particolarmente "sfigato": quasi vedovo, quasi "mollato", quasi padre. E, diciamocelo, il film che il regista del sopravvalutato Sideways ambienta alle Hawaii, mostrandocele nel loro lato meno esotico e più interessante (di sicuro la scelta più interessante dell'opera), potrebbe proprio essere recensito con la parola "quasi". Payne, autore del gioello Election, dimenticato e in Italia mai visto, se non al Festival di Torino, sembra avere tante buone idee ma non abbastanza respiro per portarle a realizzazione. E così il film del Clooney tradito e imborghesito, di quest'uomo che scopre la famiglia oltre il lavoro solo quando la moglie, praticando uno sport estremo, ha un grave incidente ed entra in coma, si fa apprezzare soprattutto per i piccoli dettagli. Per la paura di lui, alla ricerca di una verità che non vorrebbe conoscere, per la sua corsa goffa come il suo animo gentile ma imbrigliato, per quel suocero bastardo (Robert Forster, che bravo) e quella donna ferita (Judy Greer, due scene che valgono un film), per quella figlia irrequieta (Shailene Woodley). Un film dolce, profondo e molto incompleto, che passa il tempo a sfiorare temi importanti, a rincorrerli senza mai raggiungerli. Un ottimo lavoro, invece, quello di Tilda Swinton in E ora parliamo di Kevin, dolente racconto di una maternità difficile e di un ragazzo "sbagliato". Recentemente- vedi Joshua- si sta indagando nelle difficoltà di essere madri, nella lotta della donna all'interno di mondi che tendono a non capirla, a non comprenderla. Una sorta di thriller dell'animo quello di Lynne Ramsay, davvero ben fatto. Straordinaria la Swinton, piace anche John C. Reilly che finalmente, negli ultimi due anni, sta riuscendo a raccogliere il frutto di anni di eccellente lavoro come caratterista.

A far da corollario a questi film d'autore una pellicola di fantascienza, In Time, che ha il pregio di essere godibile quanto lieve. Se nel futuro risolveremo il problema della morte, la sovrappopolazione potrebbe far diventare un bene commerciale il tempo. Buona idea, buon intrattenimento, Amanda Seyfried valorizzata da un look da urlo, Olivia Wilde in un ruolo gustoso e Justin Timberlake che ci conferma che a cantare perdeva tempo. Decisamente sotto la sufficienza, invece, Jack e Jill, commedia sentimental-demenziale con Adam Sandler che interpreta due gemelli: lui è bravissimo, ma si ostina a fare film scarsi (se si escludono Zohan e Funny People). Peggio ancora ATM, horror bancario- anzi al bancomat- che aggiunge nuovi volti alla galleria dei "personaggi stupidi che negli horror meritano di morire". Non si salta mai sulla sedia, a meno che non ci si addormenti. Peccato, l'idea poteva pure essere buona.

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