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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2012 alle ore 08:19.

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Alzate di sopracciglia, sorrisetti inusuali, scatti comportamentali inconsulti. L'angoscioso e tensivo E ora parliamo di Kevin di Lynne Ramsay porta a scrutare ogni minimo accenno di distonia in figli, nipoti, bambini su cui riversiamo il nostro affetto. Nel mulinello temporale del film, la regista racconta la storia di Eva (Tilda Swinton, eccezionale interprete), il cui figlio Kevin (Ezra Miller), da adolescente si rende responsabile di un delitto efferato. Ramsay segue lo spaesamento di Eva, che non si sottrae, ma pare quasi esporsi volontariamente alle invettive e agli schiaffi della comunità.
Potrebbe cambiare città o morire, ma sa che deve pagare il peccato originale di aver messo al mondo un figlio che il suo inconscio non desiderava. È questo l'unico (forse) motivo per cui Kevin la lascia in vita: scontare le sue colpe sin da quel parto in cui invece di spingere tratteneva il feto. Il piccolo avverte la neghittosità della madre, nonostante l'abnegazione disperata con cui lei gli si dedica. Kevin non solo registra come un sismografo ogni stortura, ma trasforma la fulgida intelligenza infantile in rabbia adulta. Ramsay ricostruisce in fiction il volto solo e deviato dell'America che Michael Moore aveva mostrato con Bowling a Columbine (2002), scavando attorno alle stragi avvenute nelle scuole americane, in particolare il massacro della "Columbine High School" nel 1999, nel Colorado. In E ora parliamo di Kevin il dramma è giocato in chiave intimista, in un'escalation di perversioni tra le mura domestiche, in cui l'unica concessione sociale è quell'accenno al desiderio di notorietà del ragazzo a crimine consumato. È una pellicola disturbante, che induce a continui ripensamenti, che di norma è la filigrana di un buon film. Molti potrebbero rifiutare l'accanimento sulla figura materna, che però in seconda lettura non appare così definitivo. Emerge, nel rimacinare le scene, l'ineluttabilità di un'indole, che invece di essere contenuta, germoglia sulle difficoltà genitoriali.
Il tema dell'adolescenza deviata e deviante è forte in una società dove la fatica giovanile non è contemplata (forse non più in tempi di crisi incombente). Non solo il cinema, ma anche il teatro e la letteratura ultimamente hanno fatto notevoli analisi sull'argomento. History Boys tratto dall'omonimo Gli studenti di storia di Alan Bennett, ora nelle librerie per i tipi di Adelphi (pagg.180, € 12,00), è una pièce che riflette sulla natura e la responsabilità dell'insegnamento. Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno ricavato una versione italiana dell'originale americana, vincendo il premio Ubu come miglior spettacolo dell'anno, con una tournée (www.elfo.org) molto fortunata. Recentemente Bollati e Boringhieri ha ripubblicato un libro interessante, Il significato del disegno infantile, di Anna Oliverio Ferraris (pagg. 178, € 20,00), che analizza i segni, le scale dimensionali e cromatiche, usati dai bambini mentre dipingono. Di Kevin ce n'è uno su un miliardo, per fortuna. Ma un'occhiata documentata in più non guasta.
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