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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2012 alle ore 08:16.

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Parigi 1900. Nella città simbolo della belle èpoque si apre l'Esposizione universale in un clima di fiducioso ottimismo alimentato dalle recenti innovazioni tecniche – l'automobile, il telefono, il cinema dei fratelli Lumière – destinate a cambiare la vita delle persone. Quella manifestazione, che attira a Parigi oltre cinquanta milioni di visitatori, corona «un gran secolo di lavoro, di verità e di libertà», scrive Emile Zola nel J'accuse, il suo atto d'accusa nell'affaire Dreyfus. L'Esposizione universale «rappresenta essenzialmente l'alleanza dell'industria e della scienza, del lavoro e del pensiero, dell'utile e del bello, delle forze materiali e delle forze morali, del reale e dell'ideale», dirà non senza enfasi Emile Boutroux inaugurando il Congresso internazionale di filosofia, uno dei molti congressi che si tennero in quell'occasione nella capitale francese.
A quello di filosofia fece seguito il Congresso internazionale dei matematici. Un Congresso destinato a fare epoca. David Hilbert vi presentò infatti una serie di ventitré problemi «per le generazioni future» che orientarono la ricerca matematica per decenni a venire (e alcuni, come la cosiddetta ipotesi di Riemann, sono tuttora aperti). Il terzo di quei problemi aveva a che fare con delle piramidi, dei tetraedri come si dice in matematica, e richiedeva di specificare «due tetraedri di basi uguali e altezze uguali che non possano in alcun modo essere scomposti in tetraedri congruenti» e neppure combinati con tetraedri congruenti in modo da formare poliedri che, a loro volta, siano scomponibili in tetraedri congruenti. Da quel problema prende le mosse Claudio Bartocci per raccontare le sue «storie di geometria».
Nel caso bidimensionale dei poligoni il problema aveva radici antiche. Negli Elementi Euclide aveva stabilito la teoria dell'equivalenza nel piano, la (equi)scomponibilità ed (equi)ampliabilità dei poligoni mediante triangoli su cui si basano risultati familiari fin dai banchi di scuola, come la formula dell'area di un triangolo e la dimostrazione del teorema di Pitagora. In fondo, quello che chiedeva Hilbert era se fosse possibile estendere quella teoria in modo analogo dal piano allo spazio, dai triangoli ai tetraedri, dai poligoni ai poliedri. La risposta (negativa) trovata dal suo allievo Max Dehn è illustrata da Bartocci in grande dettaglio nell'ultimo, denso capitolo che assomma a quasi un terzo dell'intero volume e ne costituisce certo la parte più originale (e difficile), anche se gli aspetti più ostici dal punto di vista matematico sono stati saggiamente relegati nell'ampio apparato di note che correda questo come tutti gli altri capitoli.
Per comprendere il senso e la portata del problema posto da Hilbert, Bartocci ripercorre alcune tappe fondamentali dello sviluppo della geometria. Per oltre duemila anni gli Elementi di Euclide hanno costituito un modello insuperato di rigore, anche se il suo postulato delle parallele non mancò di sollevare perplessità e tentativi di dimostrazione fin dall'antichità, e finì per costituire agli occhi di D'Alembert il vero e proprio «scandalo degli elementi della geometria». La storia di quei tentativi, in cui ancora nel Settecento si affaticano inutilmente Saccheri e Lambert, conosce una svolta decisiva prima con Gauss, e poi con Lobacevskij e Bolyai, che nei primi decenni dell'Ottocento creano una nuova geometria non euclidea, in cui non vale cioè il postulato euclideo delle parallele. Anche se notoriamente Gauss, per timore delle «strida dei Beoti», decise di astenersi dal render pubbliche le sue idee, eretiche rispetto all'ortodossia euclidea che aveva trovato in Kant il più autorevole sacerdote, Bartocci a ragione sottolinea l'importanza in questo contesto di una memoria sulle superfici in cui Gauss introdusse alcune idee che dovevano rivelarsi decisive nelle mani del suo più brillante allievo, Bernhard Riemann, per porre su nuove basi il problema della geometria dello spazio fisico. Nel 1868 la pubblicazione (postuma) della lezione di abilitazione di Riemann Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria offre ai matematici la visione di nuovi universi geometrici a più dimensioni, e convince Eugenio Beltrami a pubblicare un Saggio che dimostra la legittimità della nuova geometria non euclidea al pari di quella euclidea.
Negli ultimi decenni del secolo le ricerche geometriche fioriscono: la geometria proiettiva, posta su nuove basi da Christian von Staudt, consente a Felix Klein di interpretare le nuove geometrie nel più familiare ambito proiettivo. Nelle sue lezioni Moritz Pasch presenta la "geometria moderna" in una rinnovata veste assiomatica che apre la via alle ricerche di Peano, Veronese, Enriques e molti altri. In questo contesto si collocano i Fondamenti della geometria (1899) in cui Hilbert, l'"Euclide dell'età moderna", presenta una sistemazione assiomatica della geometria elementare.
Bartocci ne offre un'analisi assai dettagliata, prima di presentare la soluzione di Dehn del problema della scomposizione di due tetraedri da cui era partito: un tetraedro regolare e un prisma non sono mai equiscomponibili. A sua volta, il risultato di Dehn rappresenta l'inizio di una nuova storia che arriva fino ai nostri giorni, ha messo in luce insospettate connessioni e lasciato intravedere nuovi orizzonti di ricerca. Come suggeriscono i tetraedri di Dehn, «la matematica è una piramide di problemi – conclude Bartocci –. Una piramide, naturalmente, rovesciata».

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