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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2012 alle ore 14:54.
Se sei una grandissima attrice e vuoi battere la tua eterna rivale Meryl Streep, puoi anche prendere un regista (Rodrigo Garcia) e costringerlo a fare un film mediocre in cui il tuo enorme talento sia l'unico e incontrastato protagonista. Anche a scapito del racconto cinematografico. Questo ha fatto Glenn Close, alla sua sesta nomination con Albert Nobbs (la terza come protagonista dopo il cult Attrazione fatale e Le relazioni pericolose), sperando di conquistare finalmente, dopo 20 anni di tentativi, quella statuetta d'oro.
Noi gliel'avremmo già data per Il grande freddo, ma rischia di vincere, la spigolosa Glenn, per il suo film peggiore. Sarebbe comunque un riconoscimento giusto visto che la sua prestazione, nei panni di un uomo, azzimato maggiordomo, è comunque clamorosa, un ritorno in grande stile al cinema dopo essere "risorta" con la sua Patty Hewes nella serie tv Damages. E sarebbe comunque un premio a una delle carriere più incredibili di Hollywood: basta pensare che le prime tre candidature arrivarono con i suoi primi tre film (Il mondo secondo Garp, Il migliore, Il grande freddo), nel biennio 1982-1983.
Solo pochi anni dopo, nel 1987 e 1988 conquista le altre due, per quell'Attrazione fatale che terrorizzerà generazioni di fedifraghi e per Le relazioni pericolose. Da qui continua sbagliando qualche scelta nei copioni ma non sfigurando mai: la ricordiamo ancora per La casa degli spiriti, Mary Reilly e La fortuna di Cookie, negli anni '90, che gli porteranno anche il ruolo di Crudelia Demon ne La carica dei 101 e sequel. Solo il nuovo millennio appare avaro con lei, se si esclude il suo episodio in 9 vite da donna (sempre di Rodrigo Garcia), film che vinse anche il Festival di Locarno, in cui duetta con la piccola Dakota Fanning. Ora prova a vendicarsi dell'oblio della Settima Arte nella notte più importante.
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