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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2012 alle ore 17:25.

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Sono andato ieri mattina alla Bocconi per partecipare alla cerimonia di inaugurazione, fuori stagione, dell'anno accademico dell'università milanese con un ospite illustre che risponde al nome di Mario Monti. Ne sono uscito arricchito dalla testimonianza di Luigi Guatri e dal racconto minimalista dei suoi 63 anni di Bocconi. Un'esposizione semplice, diretta, fatta di piccole grandi cose che sono la sintesi di una vita dedicata agli studi e ai giovani.

Istruttivo l'episodio di Seefeld, in Austria, dove Guatri è in vacanza e viene raggiunto da Monti che lo prega di occuparsi della gestione dell'università. Si rifiuta e convince l'attuale premier a prendere lui l'incarico che era venuto a offrirgli fin lassù. «In quel momento sentivo di aver fatto qualcosa di sufficiente per la mia Bocconi», dice quasi schermendosi quest'uomo «entrato nell'ottantacinquesimo anno» ma ancora lì nella sua università a fare le veci del presidente Monti "trasferitosi" a Palazzo Chigi.

A me Guatri ha colpito perché parla di cose vere senza dilungarsi. Si leggeva stampato negli occhi l'orgoglio di riferire il sollievo di Giovanni Spadolini perché «potevo comunicargli che il nostro bilancio era tornato all'equilibrio senza i contributi di Roberto Calvi». Fatti, non parole, cultura e sana gestione messe insieme, questo Guatri è stato e continua ad essere per la Bocconi. Un Monti emozionato ne ha voluto sottolineare due qualità: la "totale non interferenza" nell'esercizio di responsabilità altrui anche quando si è contribuito fortemente a determinarle e la "totale disponibilità" all'ascolto e al consiglio.

Guatri e Monti, a modo loro, parlano ai giovani studenti della Bocconi, ma parlano soprattutto ai tanti senza voce di questo Paese. Sono i giovani (troppi) che restano ai margini e vivono un lungo presente di precarietà. Sono i giovani che scelgono come bandiera il Manifesto del Sole per la cultura, riscoprono l'arte, fanno la fila ai musei, passano ore in libreria. Sono i giovani che mettono a frutto i loro talenti nelle nostre università, affrontano studi difficili e trasportano nel mondo il primato culturale italiano. Testimoniano il patrimonio che il Paese ha e, colpevolmente, dimentica. Investire su di esso con una visione di medio termine che rifletta le ragioni profonde dell'identità italiana è oggi un imperativo assoluto. Passa per la cultura e l'economia la dignità che si deve restituire ai giovani. Non è più consentito (a nessuno) girarsi dall'altra parte.

roberto.napoletano@ilsole24ore.com

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