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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2012 alle ore 08:14.

Che beffa terribile allenare per anni i muscoli infantili nel brivido di abbattere steccati, saltare muri, rompere barriere e poi... Poi trovarsi adolescenti davanti a una pianura sterminata, dove tutti gli ostacoli sono stati rasi al suolo dai predecessori, in un limbo indefinito in cui ci si trasforma in vecchi-ragazzini, abbarbicati a una saggezza anziana. Derubati dai genitori del ruolo trasgressivo che l'età esigerebbe, per questi giovani forzatamente posati un salto nel vuoto fa quasi meno paura di quella distesa angosciosa, in cui anche gli adulti ciondolano senza una meta.
Così inizia Un giorno questo dolore ti sarà utile – film di mano americana dell'italianissimo Roberto Faenza, da venerdì scorso nelle sale italiane –, con James (Toby Regbo), filiforme, quasi asessuato nel fisico, diciassettenne newyorkese, che fa le prove sul tetto di casa per una fantomatica fine. Ad assistere al gesto estremo l'abbaiare perplesso di un cagnetto buffo e pelosissimo. Niente di scabroso: la pellicola inizia in maniera garbata, ironica, leggera ma intelligente e così prosegue sulle note discontinue della commedia umana, seguendo quasi fedelmente l'omonimo libro di Peter Cameron (ora nelle librerie in versione tascabile, Gli Adelphi, Milano pagg. 206, € 10,00).
«È stato tutto piuttosto schizofrenico» – spiega Cameron con una gentile aria divertita –. «Roberto (Faenza, ndr) mi ha presentato in italiano il progetto della sceneggiatura, che un inglese ha tradotto in americano. Da subito ho apprezzato la maniera in cui il romanzo diventava film, ma poi ho fatto un passo indietro, soprattutto per le gramaglie della traduzione», scherza lo scrittore americano. Il James di Faenza dunque è nelle corde di quello di Cameron. «In realtà il personaggio di un film deve essere molto più forte di quello di un libro, un'icona riconoscibile e non una mera trasposizione sullo schermo di un romanzo. È una rielaborazione a se stante e mi ci ritrovo».
Nonostante gli sgambetti della lingua, Faenza e Cameron hanno creato una pellicola che funziona, impastando insieme la storia di questo ragazzino, che ha alle spalle una famiglia di squilibrati di discreto successo: una madre, Marjorie, (il premio Oscar Marcia Gay Harden), titolare di una galleria d'arte, collezionatrice di mariti instabili; una sorella, Gillian (Deborah Ann Woll), sedicente scrittrice di memorie dark, fidanzata con un professore universitario (sposato), che potrebbe essere suo padre; infine il padre, Paul (Peter Gallagher), con il mito della giovinezza e delle ragazze dall'età ben lontana dagli "anta".
Invece di pensare alle proprie mestizie, questo bizzarro manipolo familiare riversa la propria ansia su James, rimarcandogli la propria asocialità e disadattamento, proponendogli la tutela, nientemeno, di un Lifecoach (Lucy Liu), una figura che per fortuna (forse) non è ancora arrivata in Italia e che aiuta le persone a raggiungere gli obiettivi prefissati. In realtà quest'ultima è una persona di buon senso che non fa sentire James un alienato. «Questo è l'unico punto di vera distanza tra il libro e il film», sottolinea Cameron. Nel romanzo la situazione di James è considerata molto grave e il ragazzo viene inviato da uno psicanalista vero che ne curi la patologia. La psicanalisi ne esce a pezzi, ma Cameron generosamente la soccorre. «Ho una grande fiducia in questa scienza. Ho fatto una terapia rigorosa, che mi ha molto aiutato, soprattutto quando scrivevo il libro, dedicato al mio psicoterapeuta (Justin Richarson, ndr) e a mia nonna, Marie Nash Shaw».
Molti i punti di coincidenza tra James e Cameron ragazzo. James, nel romanzo e nel film è un individuo intelligente, che preferirebbe non mescolarsi alle persone e che, riluttante, è costretto a farlo. L'unico rapporto vero e disteso è con la nonna Nanette (il premio Oscar Ellen Burstyn), che lo ama per ciò che è e non per ciò che dovrebbe essere. «Ero molto simile a James – ride lo scrittore –. Mia nonna Marie, come Nanette, era una personalità complicata e affascinante. Come James, provavo disagio a stare con i miei coetanei e verso il mondo in generale. A vent'anni ho anche cercato di descrivere l'inquietudine che avvertivo, ma ero troppo giovane e non riuscivo a mettere la giusta distanza tra i sentimenti e l'esperienza. Ci sono riuscito solo nel 2003, alla vigilia dei miei cinquant'anni».
Molte volte il romanzo di Cameron è stato accostato a Il giovane Holden di J.D. Salinger per la precarietà emotiva in cui versano i protagonisti, oltre all'humus newyorkese in cui crescono James e Holden, sebbene in epoche diverse: Holden alla fine degli anni Cinquanta, James negli anni Duemila. James però, diversamente da Holden, ha un percorso scolastico impeccabile, tanto da entrare nella cerchia ristretta di un gruppo di cervelloni americani cui viene offerto un viaggio a Washington (con esiti disastrosi). Il libro e il film ricordano piuttosto la brillante lievità della saga di Dennis Patrick sulla spumeggiante zietta Mame, che cresce il nipotino Dennis in un circo culturale altolocato, talmente avanguardistico da suscitare la riprovazione della classe media benpensante americana (Zia Mame, Gli Adelphi, 2011 e Intorno al mondo con zia Mame, Adelphi, 2011). «Sicuramente regge il parallelo tra zia Mame e Nanette, personaggi affascinanti, raffinati ed eccentrici – Nanette aveva ballato anche con la coreografa di fama mondiale Martha Graham, ndr – e il legame tra zia-nonna e nipote è molto simile, nella forza del sentimento e dell'ammirazione e nella capacità di creare un cerchio magico tra due individui, impenetrabile per chiunque altro. L'ambiente di zia Mame però è molto più sofisticato di quello di James, anche se entrambi non possono lasciare indifferenti il lettore». Alla fine Cameron tiene a precisare, quasi che il paragone tra lui e James gli pesasse: «Un giorno questo dolore ti sarà utile non è un romanzo autobiografico. James nasce e cresce a New York, io nel New Jersey. Solo dopo sono approdato ai ritmi della Grande Mela. Come lui amo divorare gli scrittori di epoche passate, perché quelli contemporanei mi divertono, ma non mi appagano completamente. Condivido con James passioni e certa sensibilità, ma mentre lo delineavo è diventato un personaggio con un'individualità propria, con una forza e un colore tutto suo».