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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2012 alle ore 08:12.

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Colazione da Tiffany ne è prototipo intramontabile per eleganza, ma certo il binomio tra cinema e grandi couturier non è una novità. Dai costumi impiegati nelle grandi produzioni alle mises griffate da fotografare sui red carpet modello Hollywood , gli intrecci anzi si fanno sempre più fitti. Eppure c'è ancora spazio per le sorprese. E' da un po' che assistiamo ad un'evoluzione inaspettata. Una delle tendenze più recenti delle grandi case di moda francesi e italiane è quella di realizzare spot ad alto budget, da visionare unicamente in rete, in grado di dare ancor più risalto ai propri brand.
L'ultimo esempio è l'«Odyssée de Cartier»: più che una promozione pubblicitaria, un vero e proprio cortometraggio cinematografico di alto livello, realizzato da un team di 60 persone in oltre due anni di lavorazione.
Una pantera, l'animale simbolo della maison Cartier, è al centro di un viaggio che, partendo da Parigi, passa per la Russia, l'India e offre il meglio nel dragone cinese che posandosi sulla Grande Muraglia strizza l'occhio al più importante mercato mondiale, quello asiatico, prima di trasformarsi e far ritorno in Place Vendome.
Il mondo di Cartier è stato così sintetizzato in poco più di tre minuti dal regista Bruno Aveillan che, oltre a un apparato di effetti speciali particolarmente suggestivi, ha puntato molto su un magnetico accompagnamento musicale realizzato da Pierre Adenot, abituale compositore cinematografico che annovera tra le sue colonne sonore anche quella del recente «Emotivi anonimi» di Jean-Pierre Améris.
Prima di Cartier, negli ultimi mesi altre aziende del lusso hanno proposto spot via web davvero affascinanti: tra questi vi è sicuramente «The Woman Dress», diretto da Giada Colagrande per l'italiana Miu Miu.
Atmosfere oniriche, che rimandano direttamente al cinema di David Lynch, sono impiegate dalla regista abruzzese per tenere alta l'attenzione del pubblico fino al termine dei suoi quasi sette minuti di durata. La protagonista è l'attrice Maya Sansa che si ritrova circondata da streghe ultra-pop desiderose di ottenere il prezioso vestito che indossa. E peccato per i vestitini troppo glamour delle streghe-modelle: tutto il resto è quasi vicino alla narrazione poetica.
Decisamente più convenzionale il cortometraggio diretto dalla coppia Mert Alas-Marcus Piggot per promuovere la campagna Primavera-Estate 2012 di Gucci: seppur suggestivo nel montaggio rallentato che segue il ritmo cadenzato della musica, il loro lavoro appare freddo e troppo statico, tanto da sembrare un'evoluzione di una campagna fotografica più che un video vero e proprio.
Per raccontare la sua collezione, Giorgio Armani ha invece scelto un nome cinematograficamente importante come quello di Luca Guadagnino: il regista di «Melissa P.» ha così realizzato lo spot «One Plus One», dove viene messo in scena un girotondo d'amore con tre personaggi, attraverso uno stile totalmente rarefatto.
Girato tra Mantova e Cremona, «One Plus One» si rifà a un'estetica tipica del cinema francese degli anni '60 e '70, con omaggi all'opera di Chantal Akerman e a quella di Jean-Luc Godard, strizzando l'occhio ai precedenti in zona di Bertolucci e ai lunghissimi muri di mattoni del Giardino dei Finzi Contini.
Tra le figure più importanti del mondo della moda, Karl Lagerfeld è certamente colui che maggiormente ama misurarsi con il web: il direttore creativo della Maison Chanel ha infatti recentemente diretto due cortometraggi per promuovere le nuove tendenze della casa fondata da Coco.
Se il breve «My New Friend Boy» riesce a colpire per la sua alternanza tra colore e bianco e nero, accompagnata da una colonna sonora d'altri tempi, deludente è invece «The Tale of a Fairy» dove Lagerfeld (di)mostra tutti i suoi limiti nell'uso della macchina da presa. Troppo lungo (oltre venti minuti) e ridondante, «The Tale of a Fairy» è stato presentato dal suo autore come: «un film sull'uso improprio del denaro che inizia con la violenza e finisce con il sentimento».
Trasgressivo a tutti i costi, «The Tale of a Fairy» appare, più che un film sui sentimenti, un prodotto vuoto e presuntuoso che lascia più di un dubbio sul "talento cinematografico" del geniale stilista tedesco.


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