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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 13:29.

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Claudia FerrazziClaudia Ferrazzi

A soli 34 anni, Claudia Ferrazzi, italiana, di Bergamo, è arrivata al top management di uno dei musei più importanti del mondo. Una donna giovane che lavora nel trio dirigenziale del Louvre, al fianco del presidente-direttore Henri Loyrette, 59 anni, storico dell'arte ed esperto di pittura italiana, e dell'amministratore generale, Hervé Barbaret, 46 anni. Poi c'è lei, il numero tre per importanza, con il grado di vice amministratore generale, o meglio, administrateur général adjoint.

Da Bergamo a Parigi, la distanza può essere brevissima. La domanda sorge spontanea: come ha fatto? «Vede, in Italia c'è un problema fondamentale per i giovani: non esiste un meccanismo di selezione - spiega Claudia Ferrazzi -. In Francia, invece, esiste un sistema scolastico che seleziona davvero, permettendo anche a un giovane di arrivare a ruoli di vertice. Io ad esempio ho fatto l'École nationale d'administration, Scuola nazionale di amministrazione, un istituto di formazione dell'alta funzione pubblica francese. Dopo questo biennio, anche se hai solo 25 o 30 anni, puoi aspirare subito a un posto di quadro superiore».

Un ruolo di vertice che tra l'altro, nel sistema della cultura francese, ha un riconoscimento anche economico ben superiore a quello che riceverebbe in Italia. Tanto per avere un idea, se il direttore degli Uffizi percepisce un salario inferiore ai duemila euro mensili, al Louvre la situazione è ben diversa. Infatti la somma delle dieci remunerazioni più alte del museo francese è pari a quasi un milione di euro l'anno (per l'esattezza 980.645 euro): e basta fare due semplici operazioni aritmetiche per arrivare a una media mensile di oltre 7mila euro. Nette. Un dirigente di un'istituzione culturale, insomma, guadagna - al netto delle tasse - almeno quattro volte tanto il suo collega italiano.

La storia di Claudia Ferrazzi è emblematica. «Io sono laureata in Italia in Scienze politiche, indirizzo relazioni pubbliche - racconta - e poi ho fatto un master a Bruxelles. Però mi sono subito resa conto che il titolo di studio non era un punto di arrivo, come molti miei coetanei italiani allora pensavano». «Così mi sono messa a cercare una scuola più orizzontale: all'epoca l'École nationale d'administration era sia a Parigi che a Strasburgo. Io a Parigi avevo già fatto l'Erasmus, parlavo un po' di francese... È andata così».

In Francia, dunque, la selezione si fa attraverso scuole applicative di alto livello. E la formazione svolge il ruolo di "ascensore sociale", «permettendo ai giovani di arrivare anche a posizioni dove si arriva attraverso concorsi interni, per anzianità». «certo, anche per i giovani francesi è difficile fare carriera, però almeno ci sono le possibilità di fare questi "salti", attraverso il sistema formativo-educativo». Cosa che da noi, in Italia, purtroppo, non esiste.

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