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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2012 alle ore 08:17.

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È teatro. Imprevedibile. Dunque può capitare che alla Scala si susseguano un'Aida che non va mai a canestro, nemmeno nelle repliche, mentre una Frau ohne Schatten nuovissima – tanti palchi spaventati, vuoti, alla prima – consegua uno dei migliori risultati della stagione. Strauss batte Verdi? A Milano? Vivi gli autori si potrebbe aprire un bel dibattito (Strauss aveva stigmatizzato Aida come musica di elefanti, ma rispettava in ginocchio l'autore di Falstaff). Vivi noi, è il caso di tornare seriamente a investire sull'opera del l'Ottocento, pena l'estinzione.
Ma per una volta bando alle rampogne. Per La donna senz'ombra questa è solo la quarta volta alla Scala: record preoccupante per un titolo grandioso, del 1919. Partitura quanto mai intensa, brahmsiana. Trascinante, disposta su uno strumentale a caleidoscopio, ma serratissima: strutturata su una serie di temi che crescono con la storia, fino a esplodere appassionati, compiuti, nei momenti di risoluzione drammatica. Proprio questo aspetto costruttivo, novecentesco, mette in luce la direzione di Marc Albrecht, quarantenne tedesco al lusinghiero debutto nella buca scaligera (l'orchestra al completo lo aspetta a fine recita battendogli reverente mani e piedi). Con intelligenza, la concertazione si adegua al motore: non chiede invano peso agli archi, che sono invece al massimo distesi, fluidi, trasparenti (perché non citati in locandina le prime parti di violino e violoncello?), valorizza il passo araldico degli ottoni, disciplinati, fa cantare i legni. Albrecht convince per il dominio a larga campata della partitura. Un incanto.
Basterebbe. Ma non basta: abbiamo in più Johan Botha, tenore dallo squillo d'oro, inguardabile, Emily Magee, guardabilissima, a pareggiare, Michaela Schuster, col giusto grado di terribilità della Nutrice, note gravi comprese, Elena Pankratova, generosa, un po' grossolana, e il sofferto Falk Struckmann, che fa un Barak anziano, con moglie giovane, rassegnato, poi volitivo e rinato combattente. Le parti di contorno, come la voce del falco, Talia Or, o il messaggero, Samuel Youn, sono pregevolmente nelle note e nel ruolo. E non basta ancora, perché lo spettacolo di Claus Guth, beccato da qualche prevedibile buhh perché non favolistico e un po' didascalico, ha il vantaggio dell'impianto scenico di Christian Schmidt, agile e acustico, e di un impostazione di pensiero accettabile: tutto è sogno. La Donna senz'ombra è una adolescente impaurita dal sesso, soggiogata dal padre. Non evolve. Ci può stare. Anche se Strauss e il librettista Hofmannsthal non avrebbero condiviso.
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Die Frau ohne Schatten, di Strauss; direttore Marc Albrecht, regia di Claus Guth; Teatro alla Scala, fino al 27 marzo

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