Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2012 alle ore 08:13.

My24

Pensate che il feticismo sia una perversione o soltanto una ossessione consumistica? Con Feticci. Letteratura, cinema, arti visive di Massimo Fusillo (uno dei nostri migliori studiosi di letteratura) avrete modo di ricredervi. Il suo è un gioioso manifesto del feticismo, in cui questo viene liberato da ogni connotazione negativa, da ogni «metafisica del l'originario», per divenire espressione di un «sapere anti-gerarchico, che privilegia contaminazione, eterogeneità, casualità». Potremo d'ora in poi collezionare ossessivamente guanti, bicchieri, ventagli, sputacchiere d'argento, palle da baseball, piatti dipinti, (gli oggetti delle opere letterarie citate nel testo), senza sentirci in colpa. Lo sguardo feticista proietta sull'oggetto valori simbolici e affettivi, liberandolo da ogni funzionalità. Si comincia con Marx e Freud, per giungere attraverso estetismo e naturalismo al cuore della teoria feticista, e cioè a Baudelaire-Benjamin e alla metropoli, all'allestimento spettacolare delle vetrine e alla fantasmagoria delle merci, al flaneur-collezionista e al sex appeal del l'inorganico (con il postmoderno poi le merci circolano in modo più veloce, la percezione si fa immateriale e il quotidiano stesso si estetizza), e infine ai giochi rituali del sadomaso.
L'approccio di Fusillo è felicemente intermediale. Il saggio unisce rigorosa competenza e una apparente sventatezza (conduce l'autore a girovagare come un flaneur incantato tra i suoi oggetti-feticcio smarriti nelle arti più diverse), che tradisce la sua origine orale (si tratta infatti di una rielaborazione di lezioni universitarie). A Fusillo muoverei una sola obiezione, anche se decisiva. Dopo aver inseguito il proprio seduttivo, stregante oggetto – il feticismo – nella cultura della modernità, da Flaubert a DeLillo, da Virginia Woolf, Kafka e Joyce a Pamuk e Rushdie, da Gauguin a Picasso e Damien Hirst, dal l'arte tribale alle installazioni, dal manichino all'autografo e alla pornografia, conclude che esso ha per noi un carattere emancipativo. Ne siamo sicuri? Davvero arricchisce la nostra immaginazione ed esperienza?
È vero che lo sguardo feticista anima incessantemente il mondo inanimato delle cose. Ma forse lo fa perché non crede più all'esistenza del mondo e deve – disperatamente – farlo esistere: in questa insonne attività vivificatrice, in questa specie di laboriosa coazione al continuo investimento affettivo sulle cose, potrebbe esprimersi una ipertrofia (narcisista) dell'immaginazione e una difficoltà di relazione con l'altro. È vero che il feticismo non va più considerato una patologia però l'autore ne sottolinea la ossessività (in parte decantata ma anche a esso consustanziale), la fissazione maniacale sui dettagli. Un'attitudine che nasconde una fondamentale paura della realtà, sempre imprevedibile, esposta all'accidente e alla frustrazione, mentre il dettaglio, più stabile, possiamo controllarlo meglio. La parte sta per il tutto (inafferrabile, minaccioso) ed è rassicurante e più manipolabile. Il feticismo, di cui il libro traccia utilmente la variegata fenomenologia culturale, non è tanto resistenza a un'epoca di indistinzione tra realtà e finzione, quanto la sua espressione organica. L'oggetto-icona, lungi da costituire un fenomeno sovversivo, si presenta come epitome della società-spettacolo (l'attuale "capitalismo di finzione" è infatti dionisiaco e proteiforme). L'immaginario ha spodestato qualsiasi esperienza reale poiché al contrario di questa è infinitamente docile, manovrabile, infantile. Il feticista si illude di creare realtà alternative ma si ritrova, come il protagonista di Controcorrente di Huysmans, dentro una cella monacale, condannato a cercare un piacere allucinatorio di tipo onanistico. Nel romanzo dell'illustratore liberty Aubrey Beardsley, La storia di Venere e Tannhauser, domina il catalogo: corpi e oggetti sono messi sullo stesso piano, la rappresentazione è infinita e fatalmente ripetitiva. Proprio come nel l'immaginazione pornografica si genera un mondo «in cui non sembra esserci durata, né vita né morte: è tutto sospeso nel l'accumulo di oggetti». L'annunciato polimorfismo finisce nell'irrealtà e in una autarchica utopia del controllo.
Chi è costretto a continuamente "intensificare" la percezione (ad es. i personaggi di D'Annunzio) – attraverso giochi immaginativi, fantasie trasgressive, performance estreme, ecc. – rivela una sensibilità così anestetizzata da aver appunto bisogno di eccitanti e trasgressioni full time. Il feticista creativo può anche essere contiguo all'artista, come osserva persuasivamente Fusillo, ma il suo desiderio di annullamento nelle cose ci mostra il terrore di ogni vera alterità, sempre disturbante, più misteriosa delle nostre iridescenti "visioni" mentali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Massimo Fusillo, Feticci. Letteratura, cinema, arti visive, il Mulino, Bologna, pagg. 206, € 20,00

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi