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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2012 alle ore 08:14.
«Il navigatore italiano è arrivato poco fa nel nuovo Mondo». Con queste parole, espresse in codice militare, veniva comunicata via telefono all'Ufficio statunitense per la Ricerca e lo Sviluppo la riuscita del l'esperimento eseguito a Chicago che confermava l'ipotesi di Fermi: bombardando nuclei di atomi di uranio con neutroni, era possibile produrre altri neutroni che avrebbero urtato contro altri nuclei atomici, creando una reazione a catena, capace di produrre grosse quantità di energia. \ «Per la prima volta nella storia l'uomo userà l'energia che viene dal sole», scrisse Fermi nella lettera composta a quattro mani con Albert Einstein, con la quale, nel 1939, chiese al Presidente Roosevelt di provvedere al finanziamento degli studi sul nucleare negli Usa per motivi militari, dal momento che, sosteneva, era probabile che anche la Germania nazista stesse lavorando alla bomba atomica e si rendeva quindi opportuno, se non necessario, intervenire immediatamente per arginare tale situazione di pericolo per il mondo intero. \ \ l'Accademia dei Lincei, già “sponsor” della Nuova Scienza galileiana, prima che papa Urbano VII Barberini decidesse di voltare le spalle allo scienziato toscano, lo fu anche della propaganda del progetto della fisica di Fermi. L'Accademia era assai invisa al Regime perché fortemente sospetta di antifascismo, e se Fermi non avesse vinto il Premio Nobel, non sappiamo come sarebbe finita la sua vicenda. Pur essendo Accademico d'Italia, avrebbe sicuramente avuto grossi problemi per via delle leggi razziali del 1938, essendo sposato con una ebrea. Ma nel 1938 arrivò il Nobel, partì per Stoccolma e poi, definitivamente, alla volta degli States. \
Che la politica non fosse il suo forte lo si nota dalla piega che presero la sua vita e la sua ricerca negli Stati Uniti. E forse questa fu l'unica vera debolezza di Enrico Fermi. Essere talmente “distratto” dalla sua ricerca, talmente concentrato sulla propria curiosità di vedere i risultati sperimentali di tanti anni di lavoro, da mettere in secondo piano le forti implicazioni etiche di una scoperta del genere, realizzata e quindi consegnata nelle mani delle autorità militari americane per motivi bellici. Dalle parole dello stesso Fermi possiamo capire la drammaticità del momento vissuto da questo scienziato, il cui progetto potè essere realizzato solo grazie a quei 140mila dollari di finanziamento del ministero della Difesa americano: «Può ben darsi che la civiltà debba la sua sopravvivenza al fatto che solo gli Stati Uniti siano stati in grado di realizzare la sperimentazione nucleare durante la guerra». Certo è che, quando Fermi fu convocato nel 1949, per realizzare un'altra bomba atomica, egli espresse il suo totale dissenso, sostenendo che «da qualsiasi parte la si guardi, è una cosa disastrosa e stupida», mentre l'uso pacifico del nucleare avrebbe potuto aprire grandi possibilità all'umanità. Fermi comunque pagò in prima persona la sua continua vicinanza alle radiazioni, ammalandosi di un cancro allo stomaco che lo portò alla morte a soli 53 anni, nel 1954. Era finita quella che Bruno Rossi definisce «l'età dell'innocenza della fisica delle particelle» e dopo Hiroshima e Nagasaki Fermi decise di dedicare i propri sforzi scientifici allo studio dell'astrofisica. Egli poté osservare, attraverso il telescopio, fenomeni “stellari” che aveva osservato in laboratorio, avendoli realizzati artificialmente. Come in quel famoso 14 luglio del 1945, quando nei pressi di Santa Fe, in New Mexico, Fermi e i suoi collaboratori assistettero alla prima esplosione da ben 14 km di distanza. Segré ricorda l'evento stupefacente: «malgrado gli occhiali neri sembrava che tutto il cielo brillasse di una luce assai più viva di quella del sole splendente (…) per un momento mi passò per la testa l'idea che l'atmosfera potesse incendiarsi causando la fine del mondo». Un'esperienza, quella appena riportata, che somiglia alla descrizione che Dante fa della propria ascensione al primo cielo, nel primo canto del Paradiso: egli vede il cielo incendiarsi come se fosse ferro sfavillante e la luce lo abbaglia come se ci fossero improvvisamente due soli: «Io nol soffersi molto, né sì poco / ch'io nol vedessi sfavillar d'intorno / com ferro che bogliente esce dal foco; / e di subito parve giorno a giorno / essere aggiunto, come Quei che puote / avesse il ciel d'un altro sole adorno». Quel 14 luglio, Fermi trovò il suo “paradiso” da fisico, e non era il momento per pensare agli inferni che di lì a poco avrebbe provocato.
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