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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2012 alle ore 15:41.

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Ogni inquadratura dell'obiettivo che lo scultore e pittore Mimmo Paladino compone sullo schermo, è una scena compiuta. E' uno sguardo pittorico, una pennellata vitale, un luogo plastico: una tela sulla quale si depositano oggetti, frammenti, suoni, corpi. Dove il tempo si carica di storia, di gesti proiettati nel presente. La macchina da presa li ferma, li compone, li segue nella loro disposizione spaziale. Lo scorrere del piano sequenza ne prolunga il movimento interno, lo estrae e lo modella.

Come una scultura. E ad essa Paladino paragona il cinema: «Creare un film è qualcosa di analogo alla scultura, ma è come plasmare la luce. Lavorare con la luce che si materializza, che diventa immagine, movimento, parola, suono». Tutto questo ha trovato materia creativa nella figura di Don Chisciotte per il suo primo lungometraggio Quijote, un originale e ridefinito percorso di contaminazione tra diversi linguaggi - arte, cinema e letteratura, con citazioni di Joyce, Bergman e Borges- firmato con Corrado Bologna. "E' stato proprio il confronto con la figura di Cervantes – dice Paladino - e con i tratti sincronicamente confusi che l'hidalgo riunisce in sé – l'utopia, il sogno, la fantasia, il sentimento, la nobiltà, la fierezza, il coraggio – a mostrarmelo come soggetto del mio primo film… costruito con un sistema simile a quello delle scatole cinesi, una struttura cioè capace di restituire all'infinito innumerevoli suggestioni".

Presentato nel 2006 alla Mostra del cinema di Venezia nella sezione "Orizzonti", il film solo ora viene distribuito in Italia grazie alla coraggiosa "Distribuzione Indipendente" (ma ha già raccolto, in questi anni, lusinghieri riscontri a Los Angeles, Napoli, New York, Siviglia, Mosca, Firenze). Un rigoroso affresco cinematografico, poeticamente onirico (nella fotografia metafisica di Cesare Accetta), che vede la partecipazioni di un cast d'eccezione: Peppe Servillo nei panni di Don Chisciotte, Ginestra Paladino, Alessandro Bergonzoni, Enzo Moscato, Remo Girone, Roberto De Francesco, Carlo Quartucci, Carla Tatò, Mimmo Cuticchio, il pittore Enzo Cucchi nei panni di mago Merlino, e due illustri scomparsi: Lucio Dalla, uno stralunato Sancho e autore anche delle musiche, ed il poeta Edoardo Sanguineti quale voce recitante.

Principale location della "magica scena del gran teatro dell'hidalgo dalla nera figura" è stata la terra del Sannio, a Benevento. Qui, nell'antico suolo, tra secche spianate e campi coltivati, dentro anfratti o grotte, su cumuli di macerie o colline, ritroviamo, oltre a quei cavalli che Paladino immerse nella montagna di sale di Piazza Plebiscito a Napoli, gli elmi, gli scudi, le maschere, i busti, i volti enigmatici dell'immaginario arcaico che è la cifra poetica dell'artista di Paduli. Nelle stanze interne di un edificio di archeologia industriale ritroviamo, invece, la scuderia di cavalli veri che rimanda alla celebre installazione di Kounellis. Poi, muri scrostati, pilastri divelti, le stanze del Museo Madre, le pale eoliche invece dei mulini a vento. Fino ad entrare dentro i nobili velluti e gli stucchi del Teatro San Carlo. Il cavaliere errante ci conduce in un viaggio che è contemporaneamente moto e coscienza civile, politica e artistica; e si fa, nella sua tenera follia, simbolo attuale contro tutte le violenze, le guerre, le disparità, gli scempi.

Ma anche araldo della forza dei sentimenti "in un mondo di bombe e spingarde, dove non c'è posto per la cavalleria". Paladino crea, senza enfatizzare, visioni rigeneranti di rara bellezza, sia che utilizzi semplicemente il fuoco con le sue faville, o che inquadri la luna riflessa in uno stagno; sia che ricomponga scene monumentali come la porta regale di Tebe del celebre allestimento teatrale di Edipo re, firmato da Mario Martone. E scioglie tutto in quella statua rannicchiata che scivola quieta sull'acqua, immersa nel sonno. Per chiudere su un'inquadratura che dall'alto di due torri riprende il volo di pagine che bruciano per terra. Per dirci che la vera pazzia, oggi, è altrove. Dove, riprendendo i versi di Sanguineti, "Le bandiere continuano a torcersi altissime: e confondono i colori".

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