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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2012 alle ore 08:17.

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Sembrerebbe pensato per un corso di scrittura creativa Il libro dell'altra gente curato da Zadie Smith. L'autrice di Denti bianchi vi ha chiamato a raccolta autori inglesi e americani commissionando loro un racconto nel quale si doveva «inventare qualcuno». Sono dedicate, dunque, ai personaggi le tante pagine di scrittori che anche i lettori italiani in massima parte conoscono, quali la stessa Smith, Nick Hornby, Jonathan Safran Foer, Dave Eggers, Jonathan Lethem, Colm Tóibín, per citare i più noti.
Alla maniera sette-ottocentesca ogni racconto presenta nel titolo, secco, lapidario, il nome del protagonista – come era stato per Tom Jones, Robinson Crusoe, Moll Flanders, Madame Bovary. Naturalmente, curatrice e autori sanno che dall'alba del romanzesco sono molto cambiati i modi di raccontare i personaggi, ma è come se non volessero tagliare del tutto i ponti con quella tradizione. Come si sa, in quell'aurorale epoca i romanzi europei mettevano a fuoco individui qualsiasi, comuni, anonimi, e ne raccontavano le avventure e, spesso, le rocambolesche vittorie sulla vita; poi, pian piano, emersero le cadute, gli snobismi, le impotenze, le sconfitte. Infine vennero spalancate le trame labirintiche delle singole coscienze come, per esempio, fece Svevo con il suo Zeno Cosini, nome e cognome di ben poca cosa, senza alcuna qualità, exemplum di quello che erano diventati, nel frattempo, i personaggi. Uomini non illustri, direbbe Giuseppe Pontiggia, che in un libro magistrale ci ha raccontato, con ironia e pietas, un frammento di Novecento, anche linguistico, grazie a tante biografie di signori nessuno.
L'idea di Zadie Smith, dunque, non è nuova, né vuole esserlo, del resto. Perché, dunque, questo pragmatico sondaggio fra gli scrittori di oggi? Per molti motivi, ma primo fra tutti per mostrare il variegato ventaglio dei punti di vista, tecnicamente intesi. Da molto tempo il narratore non è più il dio che manovra i fili dei suoi personaggi dall'alto della macchina dell'onniscienza; è dall'inizio del Novecento, anzi da prima, che si è avvicinato, ha ascoltato da vicino le sue creature, si è chinato su di loro, ne ha preso le parti, le parole, il punto di vista, appunto. Il giro di boa fu incarnato da Flaubert che si infilò nei panni drammatici e insieme velleitari della "sua" Emma. Parecchi decenni dopo, con gli scrittori modernisti, arrivarono la signora Dalloway di Virginia Woolf e la piccola Masie di Henry James. Il mondo veniva raccontato dalla loro prevalente prospettiva. Anche una bambina aveva occhi per vedere, per leggere i conflitti familiari e patirne. Ormai la piattaforma da cui si dipartiva lo sguardo del narratore definitivamente psichica. E oggi? Un dato emerge piuttosto evidente dalle tante narrazioni raccolte dalla Smith: la psicologia e le sue parole sono bandite, come se tale modalità narrativa fosse ritenuta vetusta, retaggio del secolo passato. Non dire, mostra, fai vedere il personaggio, riprendilo mentre si muove e parla, fallo connotare da un dettaglio, non da una lunga descrizione, si suggerisce in un corso di scrittura creativa.
Fra James e l'oggi c'è stato il cinema che ha cambiato le tecniche della rappresentazione del personaggio. Anche se, è bene ricordarlo, gli scrittori davvero grandi hanno sempre "spiegato" poco: l'irrequietudine, psicologica e sociologica, l'ambivalenza carica di ambizioni di Julien Sorel era già tutta nel suo sguardo intensamente febbrile di adolescente, oltre che nel libro che leggeva a dispetto del padre, il Memoriale di Sant'Elena. Sulla tecnica narrativa del dettaglio, e su Come funzionano i romanzi, si legga, o si rilegga, il bel saggio di James Wood.
Quasi nessuna parola psicologica, dunque, compare fra questi racconti contemporanei che, ovviamente, narrano di uomini e donne – ma soprattutto donne... – dall'incerto ubi consistam, disadattati, incapaci di relazioni, turbati psichicamente, border line, immigrati dall'incerta identità, donne in menopausa mitomani, nonne ebree dispotiche e logorroiche, ragazze di quartiere londinese, o di provincia americana, molto generose di sé, fra alcol, allegria erotica e disperazione esistenziale. La distanza fra narratore e personaggio è ormai ravvicinatissima, nessun commento può frapporsi a queste scene di ordinaria e quotidiana follia. È così l'altra gente. Davvero così "altra"?
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Aa.Vv., Il libro dell'altra gente,
a cura di Zadie Smith, Mondadori, Milano, pagg. 288, € 19,50

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