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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2012 alle ore 11:33.

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Augusto Daolio nel 1967Augusto Daolio nel 1967

«The singer not the song» (alla lettera: «il cantante e non la canzone»), cantavano negli anni Sessanta i Rolling Stones dopo il primo tour americano, quando si accorsero che da quelle parti il pubblico, cresciuto a pane e rock and roll, li considerava soprattutto il gruppo di Mick Jagger.
Perché ci sono band che sono effettivamente il loro cantante, così come ce ne sono altre in cui tutti cantano e contano, altre ancora in cui conta chi non canta. In Italia abbiamo i Nomadi: una storia lunga cinquant'anni, un unico elemento di continuità con le origini (l'indomito tastierista Beppe Carletti), un pubblico che di fatto è una famiglia, una tribù, un popolo con propri riti, usi e costumi. Tutti in tour con i propri beniamini, tappa dopo tappa, roba paragonabile soltanto ai vecchi Deadheads che seguivano i Grateful Dead in giro per l'America.

Chiedi chi era il cantante dei Nomadi e ti risponderanno senza esitare: Augusto Daolio. Timbro inconfondibile, il suo, probabilmente quello che meglio rappresenta l'epopea del beat italiano, Demetrio Stratos a parte. Peccato che un brutto male se lo sia portato via a 45 anni quando il complesso (una volta si diceva così) che mosse i primi passi nel leggendario Frankfurt Bar di Riccione di anni ne aveva «appena» trenta. Chiedi chi è il cantante dei Nomadi e soltanto i più attenti ti risponderanno correttamente: il trentottenne Cristiano Turato, già front leader dei padovani Madaleine. Ebbene sì, il 31 dicembre dell'anno scorso Danilo Sacco è uscito dal gruppo, proprio lui che all'indomani dalla scomparsa di Daolio e per quasi vent'anni ne ha retto l'eredità sulla prodigiosa estensione vocale. Nel '93 venne «arruolato» dal fondatore Carletti in coabitazione con Francesco Gualerzi. Perché il testimone di Augusto pesava troppo per essere portato da un ragazzo, perché come cantava Augusto «Noi non ci saremo» o «Dio è morto» nessuno avrebbe mai potuto, neanche Francesco Guccini in persona. Quant'è vero che i Nomadi furono per Guccini ciò che i Byrds sono stati per Bob Dylan.

Poi andò a finire che Gualerzi fu costretto a mollare per motivi di salute, Sacco rimase solo e si difese bene. Alle prese con «Io vagabondo», uno standard così impresso nell'italico immaginario canzonettaro da mettere in crisi il più consumato dei professionisti, sembrava perfettamente a suo agio come lo era Daolio in persona. Eppure Sacco a fine 2011 lascia l'incarico e rivela: «Uscire dal gruppo è stata una necessità, psicologica e fisica: il mio corpo mi ha detto che era ora di smettere». Nel 2009 un infarto, poi la convalescenza e i concerti in giro per l'Italia che riprendono. «Ho capito subito – rivela oggi alla stampa - che non avrei potuto sostenere il ritmo di prima, ho chiesto di ridurre il numero delle date e il ritmo degli spostamenti.

Quando ho saputo che qualcuno, dal suo punto di vista, si era lamentato, perché fare meno concerti significa fare meno quattrini, mi sono sentito una palla al piede. E non potevo accettarlo». Adesso ha una nuova band, un sito web nel quale non senza un pizzico d'ironia si definisce «già cantante dei Nomadi», canzoni nuove e tutt'altra serenità. Si dice «contento» delle decisioni che ha preso. Quasi come se si fosse scrollato di dosso cinquant'anni di repertorio folk-beat italiano. Più anni di quanti ne abbia lui stesso. Non dev'essere affatto facile fare per mestiere il front leader di un gruppo che è un pezzo di storia. Provate a chiedere a Mick Jagger. Dall'alto dei suoi sessantotto anni suonati lui lo sa bene che, spesso e volentieri, conta il cantante e non la canzone.

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