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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2012 alle ore 18:12.

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Un'attrice italiana giovane e brava ha detto di recente in un'intervista di essere cresciuta in campagna leggendo Roald Dahl e Bianca Pitzorno. Invidia, invidia allo stato puro: per la campagna, certo, e per l'umorismo secco di Dahl, ma soprattutto perché ha potuto scoprire Bianca Pitzorno nell'età in cui è più giusto scoprirla. Se noi siamo quello che leggiamo, forse vuol dire che possiamo diventare quello che abbiamo letto; ma se anche così non è per tutti, dà comunque una certa soddisfazione potersi figurare plotoni di nuove bambine che ormai da qualche decina d'anni marciano sul mondo a braccetto di Lavinia e Polissena, Costanza e Prisca, nutrite dalla contagiosa certezza che si ha il diritto di essere se stesse sempre, di fantasticare sempre, di cambiare le cose quando non funzionano.

Bianca Pitzorno compie settant'anni quest'estate: laureata in Lettere classiche, autrice televisiva, ha cominciato a scrivere quando i nomi della letteratura italiana per ragazzi erano pochi e nobili, Rodari, Argilli, poi il primo Piumini; Mondadori, che ha pubblicato quasi tutte le sue opere, la festeggia riproponendole vestite di nuovo, aperte da brevi prefazioni (Lipperini, Geda, Mazzucco, e poi verranno Lamarque, Vinci, Ballestra e molti altri) in plotoncini di sei alla volta, i primi titoli già in libreria, la pulizia del bianco di copertina che fa spiccare più vivide contro il dorso di tela rossa da classico le belle immagini di Grazia Nidasio e Quentin Blake. È l'occasione per procurarsi d'un colpo i suoi romanzi, e chi, genitore o nonno, ha bambini della misura giusta (da otto anni in su) si attrezzi subito con una valigetta o una bella scatola che contenga tutto quanto (i titoli saranno diciotto).

L'autrice è stata festeggiata alla Fiera di Bologna e poi con una serie di incontri in libreria, letture e laboratori in suo nome un po' in tutta Italia, senza di lei, ovvio. Ma non è così grave: per i bambini il libro è un miracolo che imparano solo col tempo ad associare a una persona, un autore, un illustratore - è come se si facesse da sé, se calasse intero da un qualche mondo parallelo, e dunque non è tanto importante conoscere di persona l'autore, sapere che esiste.

È il libro che ha potere. È il libro che conta. Con la sua copertina, il titolo e i personaggi che vi si agitano dentro. E che bei nomi hanno i personaggi di Bianca Pitzorno: l'orfana di Merignac, Colomba, Aglaia… sì, sono perlopiù bambine e ragazzine, di tutti i tempi e fuori dal tempo, per libri che hanno girato il mondo e che hanno superato i due milioni e mezzo di copie vendute - caso rarissimo di qualità che prende sottobraccio la quantità. C'è nei romanzi di Bianca Pitzorno una precisione senza fronzoli, un vocabolario ricco e accurato, il gusto della parola scelta, mai compiaciuta, sempre necessaria; e la passione per il ritmo rapinoso del feuilleton che ancora e sempre è un motore di storie straordinario.

In Speciale Violante siamo dentro una soap, direttamente sul set, a spiarlo con gli occhi avidi di tre ragazzine che assistono e poi partecipano alla vita della troupe; nel seguito, Principessa Laurentina, si passa dai drammi simulati a uno vero e gigante, la perdita della mamma, che scatena un rapimento di sorellina infelice di nuovo preso di peso da una soap: ma in compenso Barbara è più vera che mai, con la sua fame eccessiva, il viso e il corpo che non riconosce più, la fatica di adattarsi a troppe novità dopo che la stagione magica dell'infanzia è finita con l'estate.

L'età del passaggio è un groviglio quanto mai realistico di incertezze e ardimenti, dolori e slanci che è difficile ritrovare così nitidamente disegnato nei libri venuti dopo, quando scrivere per adolescenti è diventato di moda e ci si sono buttati un po' tutti. Ma la narrativa ombelicale dell'ultimo decennio non ha nemmeno un centesimo del fascino nitido di queste storie; e forse la differenza sta proprio nel fatto che le ragazzine di Bianca non si ostinano a cercarsi dentro uno specchio. Si piacciono, non si piacciono, si tormentano, non si riconoscono più; ma poi guardano verso il mondo, dove ci sono le amiche, dove ci sono i legami, e quando io diventa noi vuol dire che si può andare avanti, una strada insieme la si trova.

Anche nei romanzi ambientati in un antico altrove come Polissena del Porcello è la forza dello stare con gli altri a sbrogliare i fili; la dubbiosa Polissena, sicura solo di essere stata adottata e per questo decisa a scoprire le sue vere origini, non andrebbe lontano se non ci fossero bambine saltimbanche e bambini pescatori pronti a offrirle sostegno e complicità. E la sua amica Lucrezia, che tanta parte ha avuto nella soluzione del mistero, non esita a riprendere la strada, a storia quasi conclusa, per discrezione, per lasciare Polissena sola a godere della sua riconquistata verità: senonché un'allegrissima coda di romanzo risistema anche Lucrezia in un mondo di affetti e legami che le era stato negato… Come a dire che solo quando ti dimentichi di te stesso riesci a vedere le cose nella giusta luce. Una rivisitazione dell'idea di banda così importante nei classici, così importante e basta: nemmeno una bambina armata di penna e immaginazione come Prisca Puntoni, l'appassionata protagonista di Ascolta il mio cuore, potrebbe opporsi alla ferocia della maestra Argia Sforza e ai dispetti delle compagne ricche e odiose se non si alleasse con le amiche Elisa e Rosalba.

Ma la rivoluzione non si fa così, per divertirsi, non è un gioco narrativo: è sempre un profondo senso di giustizia ad animare i personaggi di Bianca Pitzorno, perché davanti ai soprusi bisogna prendere posizione e basta. Solo così si cambia il mondo e si cambia assieme a lui, com'è giusto che succeda quando arriva il momento di crescere.

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