Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2012 alle ore 08:17.

My24

La guerra e l'assedio si rovesciano su Sarajevo i primi giorni dell'aprile 1992. Il mantra del popolo bambino «sino a quando non si spara a Sarajevo non ci sarà guerra» naufraga nel sangue. Le prime vittime cadono alla fine dei tre giorni (4-5-6 aprile) di una sterminata manifestazione pacifista su cui sparano i cecchini di Radovan Karadžic´. Si alzano come scudi grandi foto di Tito e i cartelli «Mismo za mir», («Siamo per la pace»), «Wir sind Valter», («Noi siamo Valter» - Vladimir Peric´, "Valter", 1919-1945, eroe della resistenza sarajevese). Sarajevo è una città circondata da montagne, edificata nella valle dei fiumi Miljacka e Bosna. L'hanno fondata gli ottomani a metà del 1500 e trasformata da han – caravanserraglio per mercanti di passaggio – nella città «dalle cento fontane e cento moschee». Nell'aprile 1992 le alture occupate dall'esercito – ormai più federale, solo serbo – sono armate di mortai, carri armati che puntano i cannoni sulla città, cecchini.
Il piano è tagliare in due la città, da Grbavica a Marindvor, occupando la piana di Stup e l'aeroporto. Isolata dal mondo, la città reagisce aggregando – attorno dalla Difesa territoriale guidata da Jovan Divjak e alla polizia cittadina – gruppi di civili male armati, bande irregolari (quelle di C´elo, di Caco, di Juka – da subito e sino alla loro estinzione un problema per la Repubblica), formazioni spontanee di quartiere nelle periferie. Inizia così l'assedio dei quattro inverni. Abdulah Sidran ed Emir Kusturica firmano, inutilmente, l'ultima opera comune: un clip per la televisione di Stato in cui il suono delle campane della cattedrale cattolica, la voce del muezzin, la preghiera tenorile di un pope, declinano tutte «Mir, mir» («Pace, pace»).
Intellettuali e artisti, grafici, fotografi e cantautori, scendono in campo. Esce in modo avventuroso per tutto l'assedio il quotidiano della città «Oslobod-enje» («Liberazione») diretto da Kemal Kurspahic´, vanno in onda le ragioni di tutti su radio Zid (muro) di Zdravko Grebo (è giurista e scrive la prima bozza di Costituzione laica della repubblica), si legge in pubblico la poesia civile di Abdulah Sidran e quella intimista di Izet Sarajlic´.
Subito, nei primi mesi dell'assedio, appaiono nella loro tragica bellezza – e durata – i testi di Dževad Karahasan, di Tvrtko Kulenovic´. Miljenko Jergovic´ scrive – prima di lasciare la città – le sue short stories, il poeta e scrittore montenegrino Marko Vešovic´ testimonia l'altro volto della cultura serba. Lavorano in studi semidistrutti pittori come Edin Numankadic´ e Mehmed Zaimovic´. La Sarajevo per sé, multiculturale e multireligiosa, resisterà per quattro anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi