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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 14:40.

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I più grandi di tutti di Carlo VirzìI più grandi di tutti di Carlo Virzì

La Santa Pasqua muove le montagne. Lo fa con il campionato di calcio, costretto a traslocare al sabato, lo fa con il cinema che ha visto le sue uscite anticipate al mercoledì. Non ci sono blockbuster ma, comunque, ce n'è per tutti i gusti. Ci piace cominciare con I più grandi di tutti, opera seconda di Carlo Virzì.

Un divertissement rock underground in cui una strana Armata Brancaleone che un tempo fu un gruppo rock sentito e amato nella scena indipendente (i Pluto: alla fine rimpiangerete che non esistano davvero) torna sulla scena. Lo fa nonostante tutti i componenti, o quasi, abbiano preso altre strade, si siano radicalizzati o "imborgesiti". Lo fa grazie al folle progetto: un documentario su di loro. Piacciono Corrado Fortuna e Claudia Pandolfi, Alessandro Roja e Marco Cocci (che faccia, uno spreco usarlo così poco), Cappanera e Frankie Hi Nrg, che giocano in casa. Il regista sa tenerli insieme non trascurando il disorientamento della gioventù che torna prepotente a scuotere l'età adulta, raccontando quella magia particolare della musica che tiene insieme i diversi caratteri di un film un po' matto e un po' nostalgico. Si torna nel passato con autoironia, si ha voglia di essere indie senza essere snob.

La colonna sonora, è ovvio, è un gioiello e- seppure il pubblico non ha risposto alla grande (forse per l'eccesso di copie distribuite, forse per l'emorragia nel totale delle entrate in sala del 2012)- Virzì jr si conferma un bravo cineasta con occhio, e orecchio, sensibile e originale. Un altro che ha entrambi è Peter Lord, che con il suo Pirati! Briganti da strapazzo unisce mirabilmente stop motion e 3D con una storia buffa e avventurosa che mette insieme l'immaginario dei Pirati più colorati delle nostre leggende, i dialoghi del videogioco Monkey Island e il meglio (quel poco) dei corsari caraibici di Gore Verbinski. Installate tutto questo sul meglio della Aardman, quelli di Wallace & Gromit e del gustosissimo Giù per il tubo. Dissacrazione e grandi capacità tecniche regalano, quindi, un intrattenimento di alto livello per grandi e piccini.

Ci prova a esserlo anche Biancaneve di Tarsem Singh, ma non basta una strega col volto e la capacità di ridere di se stessa come Julia Roberts, la Biancaneve con le sopracciglia di Elio (delle Storie Tese) che ha il volto di Lily Collins non ha carisma, la storia diverte solo quando diventa un buffo carnevale di costumi e (nel finale) di balli, ci strappa qualche sorriso giusto con il bizzarro gruppo dei nani. Ma è troppo discontinuo perché riesca a diventare un film vero. Lo è ancora meno Act of valor, racconto di un gruppo di soldati statunitensi che combattono il terrorismo: voleva essere Black Hawk Down, è invece una pellicola di propaganda di bassa lega che si salva con qualche buona scena d'azione ma investita da uno tsunami di retorica. Più che cinema, un moderno cinegiornale. Un documentario vero lo è, invece, Fastest. Una sorpresa al botteghino- in proporzione, per ora, sta facendo il miglior risultato- e un regalo niente male per gli appassionati di Moto GP. Un po' propagandistico anch'esso, ma in questo caso lo è in maniera appassionata e gioiosa. Per chi ama questo sport, una manna.

Viene direttamente da Venezia, invece, Pollo alle prugne. Dopo Persepolis Marjane Satrapi ci regala uno squarcio sulla sua storia familiare più intima, il racconto etico e poetico di un uomo che consacra alla musica tutto se stesso, una metafora artistica e politica molto potente. Peccato, però, che pur avendo Isabella Rossellini e Mathieu Amalric, Maria de Medeiros e Chiara Mastroianni, la graphic novelist e regista insieme al soldale Vincent Parannaud non riesca mai a dare una svolta incisiva all'opera, mantenendola sul piano di un melodramma un po' troppo ingessato pur con intuizioni niente male. La sensazione, alla fine, è di trovarsi di fronte a qualcosa di grande e allo stesso tempo incompiuto.

Chiudiamo con Good As You (guardate le iniziali maiuscole e capirete già di chi si parla), piéce teatrale che arriva dopo quasi 25 anni al cinema. La prima commedia (tutta) omosessuale del cinema italiano, quella di Mariano Lamberti, che ha il pregio di non importi un Caronte etero nel fantastico (o diabolico, a seconda dello sguardo) pianeta gay, ma di fartelo vedere dall'interno. Peccato che, alla fine, sia anche l'unico pregio, insieme agli attori, decisamente migliori di ciò che interpretano: gli stereotipi- forse pure veri, giurano gli autori- sembrano davvero troppo marcati, dialoghi e dinamiche narrative risultano troppo caricati e caricaturali, e alla fine, soprattutto, si fa fatica a empatizzare con i personaggi. Peccato, era un bell'esperimento che di sicuro andrà ripetuto e migliorato.

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