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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2012 alle ore 08:18.

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Se Papa Montini giudicò provvidenziali le cannonate di Porta Pia, Pio IX era stato di parere opposto: scomunicò re e Governo, proclamò che non era "espediente" che i cattolici partecipassero alla vita politica del nuovo Stato. Alcuni, come Manzoni che nel 1860 aveva accettato la nomina a senatore, non si sentirono legati dal comando papale, altri scelsero l'obbedienza. Uno di essi fu il mio bisnonno Giuseppe Toniolo (1845-1918), professore di Economia a Pisa, che domenica 29 aprile sarà dichiarato beato. Proclamando santi e beati, la Chiesa cattolica ha sempre avuto l'intento pedagogico di indicare esempi di vite meritevoli di attenzione, d'imitazione. Che cosa può significare, oggi, la riscoperta di questo intellettuale, fortemente presente nella mente dei cattolici che contribuirono a fondare la Repubblica (dagli autori del Codice di Camaldoli, tra cui Pasquale Saraceno, si veda l'articolo nelle pagine precedenti, a De Gasperi) ma poi quasi dimenticato?
I più attenti tra i cattolici che accettarono il non expedit compresero che l'Italia aveva problemi economici e sociali ben maggiori della controversia sull'origine dello Stato unitario. Sentivano, in particolare, i disagi delle masse popolari in un momento di grande trasformazione dell'economia europea. Tra il 1872 e il 1904, i Congressi dei Cattolici italiani furono il principale momento di riflessione e organizzazione in campo sociale. Di essi Toniolo fu il principale ispiratore, tenendo una linea mediana tra l'ala conservatrice e i giovani progressisti più scalpitanti, alla ricerca di quella che oggi banalmente diremmo "terza via" tra le dottrine socialista e liberale. Studioso dell'economia della Firenze medievale, Toniolo pensò di ritrovarvi un archetipo da ripresentare: quello di una società in cui la cooperazione tra le classi, espressa dal fiorire delle corporazioni di arti e mestieri, avrebbe prodotto sia benessere per i lavoratori sia democrazia, in un'armonica città cristiana. La proposta di Toniolo si distingue nettamente da quella successiva fascista: per lui le corporazioni sarebbero dovute nascere dal basso (era convinto fautore del principio di sussidiarietà), mai per ordine dello Stato. Prevedeva, inoltre, anche corporazioni formate da soli lavoratori. Una simile visione, che idealizzava la società fiorentina del Trecento, è oggi improponibile. Più attuali sono, tra le intuizioni di Toniolo, quelle che mostrano una comprensione non banale della «prima globalizzazione», simile per tanti aspetti a quella attuale.
Libero scambista non dottrinario, Toniolo scrisse dell'epoca che si chiuse nel 1914 con accenti che si ritroveranno nel nostalgico Keynes del 1919. «Tutto il mondo – nota Toniolo – cospira ad agevolare e diffondere quei medesimi costumi da cui si misura il tenore di vita, cioè il grado di prosperità delle popolazioni e finalmente sparvero per i Paesi legati dal commercio annonario le carestie alimentari che afflissero l'Europa fino al 1816». Sono i più poveri, insomma, a trarre maggiore beneficio dalla "globalizzazione" purché si tenga conto che, insieme ai benefici, essa crea squilibri che vanno corretti. Così, favorendo l'abolizione del dazio sul grano per ridurre il prezzo del pane, raccomandava che essa fosse attuata con gradualità per dare tempo ai lavoratori agricoli di convertire la terra ad altre produzioni. Assertore della libertà di commercio, Toniolo dubitava invece dell'utilità della libera circolazione dei capitali, convinto che la finanza fosse strumentale all'economia reale e mai dovesse ridursi a mero mezzo di arricchimento per pochi percettori di rendita. Questi aspetti del pensiero di Toniolo sono tra quelli oggi meno ripresi (si richiama semmai la dottrina della sussidiarietà) ma sono, forse, quelli più utili a una riflessione sulla nostra epoca. Vi è un solo laico, il medico Giuseppe Moscati (1880-1927), tra i 63 beati italiani canonizzati tra il 1861 e il 2010; tutti gli altri sono sacerdoti o appartenenti a ordini religiosi. Nell'avviare un altro laico sulla strada della canonizzazione, la Chiesa intende probabilmente dirci che non sono necessari voti religiosi per vivere una vita pienamente cristiana. L'epistolario di Toniolo testimonia che egli visse in modo esemplare la propria fede, quale marito, padre, studioso, professore, organizzatore sociale.
Mi pare tuttavia che sia possibile trarre anche un'altra indicazione dalla beatificazione che avrà luogo il 29 aprile. Giuseppe Toniolo si impegnò da laico credente nella complessa realtà italiana ed ecclesiale di fine Ottocento: con l'insegnamento, con l'Opera di Congressi, con l'Unione Popolare, probabilmente anche come discreto ghostwriter di documenti papali.
Un laico, in ultima istanza, obbediente alle indicazioni del Vaticano ma tuttavia impegnato a persuadere, influenzare, educare la stessa gerarchia ecclesiastica, per esempio teorizzando – con le ambiguità che non sfuggirono a De Gasperi – una "democrazia cristiana" della quale oltre Tevere non si sentiva grande bisogno. Toniolo si mosse in uno spazio strettissimo, tra una gerarchia ecclesiale arroccata in un sentirsi, a torto o a ragione, ingiustamente colpita e una "società politica" ancora sostanzialmente anticlericale. In questo piccolo spazio, Toniolo sviluppò un pensiero e un'azione sociale con connotati di originalità senza cercare né coperture né imprimatur ecclesiastici. Forse con questa beatificazione la Chiesa vuole dirci che è benvenuta una maggiore presenza, in autonomia e senza mandati, dei cattolici nella vita sociale e politica dell'Italia di oggi. Sarebbe un messaggio utile proprio perché, in linea di principio, scontato.

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