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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2012 alle ore 08:21.

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Una proposta "dura" e una "morbida"; un teatro – il Valli di Reggio Emilia che di William Forsythe ha visto molto – e un altro che invece – è il Grande di Brescia – lo incontra solo ora. Forse non si poteva trovare abbinamento migliore perché il migrante pubblico della danza potesse scegliere di perdersi nell'inquieto Yes, We Can't, oppure di ritrovarsi nel rassicurante Mixed Program con qualche ripresa, come N.N.N.N., in cui è il respiro ad allineare l'organica "orologeria" dei movimenti degli interpreti.
Forsythe presentò questo silenzioso quartetto maschile nel 2010 quando ricevette il Leone d'Oro dalla Biennale Danza. Sempre a Venezia aveva mostrato, nel 2005, la struggente installazione You Made Me a Monster: ulteriore prova che il vero debutto italiano dei diciassette danzatori della sua Forsythe Company accade solo ora, tra plausi, sconcerto e molti quesiti. Il primo concerne il presunto sdoppiamento della carriera del sessantaduenne coreografo americano: da una parte entrato nell'empireo dei classici, con Balanchine e Cunningham, grazie al repertorio creato tra il 1984 e il 2004 per il defunto Balletto di Francoforte ma ormai veleggiante in tutte le maggiori compagnie accademiche; dall'altra, considerato un eretico, sempre a rischio di sonore bocciature, e richieste di biglietti restituiti per la radicalità del suo lavoro attuale. Eppure Yes, We Can't è un'opera totale maggiore: il titolo, malizioso, parrebbe la negazione dello slogan elettorale di Barack Obama. In effetti, la pièce risale al 2008 (con ritocchi nel 2010), però trae spunto da Worstward Ho di Samuel Beckett e in particolare da quelle frasette che se inchiodano a una cosmica tragicità («Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Fallisci ancora.»), ne inoculano anche la paradossale ironia. («Fallisci meglio…»). Su palco spoglio è dunque bandita ogni traccia spettacolare: i danzatori irrompono a braccia aperte e davanti a tre microfoni gorgheggiano e corrono nei loro non-costumi. Gli esercizi vocali diventano degli addii ma nulla finisce. Col trascinamento dei microfoni la voce si amalgama ai magnifici lacerti musicali (dal vivo) di David Morrow, al raggruppamento dei corpi sparpagliati o concentrati su di un piccolo tappeto bianco.
«Benvenuti a…qual è il soggetto?».Davanti al microfono, ancora, si cincischia, si piange, si bisbiglia, si provoca con la parrucca e poi, con la barba finta, ci s'incunea in un esilarante monologo sul dispiacere di avere fallito lo spettacolo e sui buoni propositi futuri. Fine (solo ideale) della prima parte. Nella seconda, si ripete l'inizio: volteggi e gorgheggi a braccia aperte in proscenio, debordante nonsense. Una danzatrice dichiara più e più volte di possedere due pistole e un compagno le spara con le braccia a mo' di fucile. La ripetizione rafforza lo spaesamento: ma basta volgere lo sguardo in periferia, a quella danza meravigliosa che accade senza un perché, per accorgersi che i confini dell'imitatissimo corpo disgregato e dinoccolato "alla Forsythe" si sono dilatati sino a raccogliere lo scibile danzante.
Brandelli pop e di strada rivisitati, passi a due mozzafiato, tip tap a corpo piegato si mescolano a bagliori da musical, ad azioni mimiche quotidiane racchiuse in pillole dal timing perfetto. Intanto il predicatore del fallimento ci assicura di aver mentito: ogni sbaglio era intenzionale e l'incompetenza "cosciente". Grazie ma l'avevamo capito. Nessuno sarebbe in grado di vomitarci addosso la nostra desolante finitudine, le macerie della civiltà politica, la tensione verso un'impossibile comprensione dell'esistenza, trasformando tutto ciò in autentica poesia del corpo danzante nello spazio (a sua volta poetico) meglio e più del Coreografo tra i coreografi di nome Forsythe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Yes, We Can't, The Forsythe Company, Teatro Romolo Valli, Reggio Emilia;
Mixed Program, Teatro Grande,
Brescia, 21 aprile
forsythe online Il videocommento di Marinella Guatterini www.ilsole24ore.com/domenica

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