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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2012 alle ore 11:20.

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È proprio vero: piacersi è così inutile. La fertilità nasce senz'altro dallo scontro epico, per esempio quello che si consumò – all'insaputa di quasi tutti – nella hall del Grande Bretagne di Atene il pomeriggio del 18 maggio 1994. La stessa sera il Milan avrebbe scansato con uno sbuffo i gufeschi pronostici e conquistato la Champions League abbattendo per 4 a 0 il Barcellona, che non era quello di Leo Messi ma passava per la squadra più forte del mondo. Si erano compiuti i cinquanta giorni più felici nella vita di Silvio Berlusconi: il precedente 28 marzo aveva non meno maltrattato la Gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, che perlomeno non aveva fama di coalizione più competitiva del pianeta.

Nella hall del Grand Bretagne fece ingresso, accompagnata da Emanuele Trevi, Laura Betti, sessantasettenne, obesa, geniale, incattivita, sfrontata. Si trovarono di fronte un bivacco decisamente à la page, uomini con rasatura bilama, grondanti acqua di colonia, scarpe nere con punte di lancia, cravatte come boule dell'acqua calda, denti di purissima porcellana, l'ottimismo scintillante per ragione sociale, e poi donne alte come stopper, un saliscendi di argomenti, calendari ambulanti, consapevoli nudità. Era la nuova razza padrona, come dice Trevi il prodotto imprevedibile di «secoli di pulcinellerie, di omicidi a sangue freddo, di dissimulazione e spregiudicatezza…». Laura Betti dimostrò subito una non serenissima disposizione d'animo: «Che cazzo vogliono… Che cazzo strillano 'sti zotici…». E poi alla reception ci misero un'applicazione notarile per certificarle che le stanze prenotate non erano tre, ma due.

Laura Betti immaginò il fedifrago publitaliesco in una delle sue stanze, ripulì a suon d'insulti il commesso, fece altrettanto col direttore, rispedì al suo posto un impiccione con un fragoroso "vaffanculo", poi salì in ascensore, «leggermente inclinata, mi fece segno di stare zitto – racconta Trevi –, lo sguardo indecifrabile dietro le lenti scure…». Ci lasciò la firma, una chiazza bagnata, a gambe aperte.
Non è certo questo il cuore di Qualcosa di scritto, il formidabile libro di Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie, 246 pagine, 16,80 euro) su Pier Paolo Pasolini. Ma sono pagine che danno il prologo spettacolare a diciassette anni di stampo berlusconiano.

Trevi è a casa di Laura Betti anche la sera del 28 marzo, prima vittoria elettorale del «disgustoso milanese», come diceva lei («Tutto ciò che aborriva, per ragioni emotive e psicologiche prima ancora che politiche… Lo volevano in galera, lo volevano morto, ed eccolo lì che comandava lui»). La scena è da sera prima del plotone d'esecuzione. Stefano Rodotà in piedi, in mezzo alla stanza da pranzo, le mani dietro la schiena, capo chino, con l'abilità del trequartista a palleggiare sul piede un foglio accartocciato. Enzo Siciliano, accasciato sul divano, non aveva che la forza di gemere a ogni aggiornamento di proiezione. Laura Betti scoppiò in una risata infinita e chiassosa, poi lanciò un «breve barrito», perse i sensi e crollò elefantesca sopra Mario Missiroli.

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