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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2012 alle ore 08:22.

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Quello che Carla Bagnoli appone a introduzione di questa interessante raccolta di saggi è quanto di più esaustivo si possa trovare, completo di argomentazioni e controargomentazioni, sul ruolo delle emozioni nella filosofia morale (per una conoscenza preliminare del dibattito da cui Bagnoli muove, raccomando al lettore John Deigh, Etica, meritoriamente tradotto di recente per i tipi di Apogeo, pagg. 320, € 18,00). Davvero pagine esemplari, dove non manca neppure un'accurata e illuminante ricostruzione storica del perché, dal momento in cui Bernard Williams lamentava che in filosofia morale le emozioni fossero paventate solo come cause cieche dell'azione, ostacoli alla razionalità motivata, poi, nell'ultimo mezzo secolo, dalla Anscombe e dalla Murdoch al recente boom della "psicologia morale", sono invece al centro dell'attenzione.
Il problema non è mai stato, soprattutto da Hume in poi, ammettere che le emozioni possano essere motivi dell'azione umana, ma semmai ammettere che ne siano ragioni morali, che abbiano un'autorità, una forza normativa, pari a quella che il razionalismo classico attribuiva a principi della ragione incontaminati dalle passioni e che il sentimentalismo, d'altra parte, finiva per trattare solo nella contingenza del loro incidere su una ragione pratica. È indubbio che le scienze cognitive, cui si deve la scoperta sperimentalmente supportata di un intelletto mai detached dall'istinto e dalla passione, abbiano oggi determinato un ulteriore radicale ripensamento dell'ontologia morale e anche del ruolo epistemico (tra cognizione, precognizione, subcognizione) che le emozioni rivestono nella costruzione di una ragion pratica rispondente ai requisiti di un'etica normativa. Ma Bagnoli non è d'accordo che sia il solo punto di vista di un'etica "naturalizzata" a porre e risolvere i problemi di una concettualizzazione morale. I concetti della morale devono essere compatibili con il naturalismo scientifico (nel senso che devono tener conto delle acquisizioni delle scienze), ma devono essere anche congrui con la nostra esperienza in prima persona e devono avere una rilevanza epistemica, nel senso che devono essere in grado di esplicare il ruolo distintivo dei soggetti morali nelle attività in cui sono coinvolti. Il punto di vista suggerito è allora quello che in qualche modo accomuna aristotelici e kantiani; non nel negare che vi sia una continuità tra "morale" e "naturale", bensì nel riconoscere l'oggettività di una "seconda natura", per Kant caratterizzata dalla capacità umana di autoriflessione, che esige di essere trattata nei termini dei requisiti di una ragion pratica e che privilegia il ricorso a una concettualizzazione a priori. Su questa linea, il contributo che Bagnoli sta dando alla psicologia morale e a una nuova metaetica in vari suoi lavori si configura anche come una originale rilettura dell'opera di Kant. Per Kant l'autorità del giudizio morale deriva dall'esistenza oggettiva di una legge morale condivisa da tutti gli animali dotati di ragione.
Il problema, per un'etica che rappresenta il rispetto della legge come l'essenza dell'azione morale, consiste nello spiegare quale interesse possono avere gli agenti razionali ad agire secondo la legge indipendentemente dalla forza della legge e quindi indipendentemente da punizioni e incentivi. Come rileva Bagnoli, il problema se lo era posto Kant stesso, ammettendo, al di là di una ragion pratica pura, una base soggettiva a fondamento delle ragioni morali che chiamava "rispetto". Il rispetto è il nome della ricettività da parte nostra del puro interesse morale; è l'esperienza soggettiva dell'autonomia, e mostra la nostra capacità di ragione pratica. A differenza delle deliberazioni costrette da sanzioni e incentivi, prese nel timore di punizioni o di frustrazioni e nella speranza di premi, o dalle deliberazioni prese per inclinazioni naturali, una deliberazione costretta dal rispetto è una forma di autocontrollo e di autodisciplina; in una parola, un'espressione della nostra libertà. L'aspetto normativo dell'etica lo si coglie, dunque, unendo insieme la soggezione alla legge e il rispetto per gli altri come fonti indipendenti per conferire autorità alle azioni e alle scelte morali. Come sostiene una filosofa americana cara a Bagnoli, Christine Korsgaard, la capacità emozionale espressa dal rispetto non aggiunge nulla alla validità razionale delle ragioni morali; ma spiega come le ragioni morali (in una cornice ormai per tutti dichiaratamente causale) ci conducono all'azione. E non lo fa aggiungendosi ai tanti incentivi che gli agenti razionali considerano nelle loro deliberazioni, bensì come costrizione e come ordinamento di tali incentivi.
Da Kant, dunque, Bagnoli trae spunto per sostenere che il rispetto è il più fondamentale degli «atteggiamenti reattivi», più ancora del risentimento, dell'amore, dell'indignazione, del biasimo. Il rispetto è pervasivo in ogni pratica di giustificazione razionale al livello strutturale del ragionamento pratico, come condizione affinché qualcosa conti come una ragione per un'azione, anche se non come determinante il contenuto delle ragioni per l'azione. I vecchi dilemmi tra razionalisti e sentimentalisti sembrano superati. Il razionalismo kantiano si sposa con una teoria delle capacità di tipo aristotelico in quanto le emozioni sono considerate come strutturalmente e costitutivamente legate alla ragion pratica: agendo e deliberando si osserva la legge morale, e insieme si mostra una sensibilità marcata da quell'emozione condivisa che è il rispetto.

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