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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2012 alle ore 08:16.

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Alla Scala lo hanno bastonato. Bene: abbiamo una perversa predilezione per i giovani di talento quando vengono contestati, quando non lasciano indifferenti. Ben arrivati. Ben arrivato Andrea Battistoni, direttore d'orchestra di cui non stiamo più a ripetere la verde età, perché la musica ha poco a che fare con questa.
Benvenuto a Milano, che gli ha offerto la giacca stra-usata delle Nozze di Figaro Muti-Strehler, spettacolo da leggenda, da utilizzare come repertorio, non su cui lanciare un outsider che si deve adattare ad abiti altrui. E magari con qualche maestro sostituto che sconsigli un organico da camera, che va bene all'An der Wien, ma non per duemila posti in sala. E benvenuto a Parma, dove si scommette sul suo nome, dandogli la carica di primo direttore ospite (ospite si potrebbe anche togliere, visto che Temirkanov non si fa molto vedere), e gli si affida una nuova produzione verdiana, tutta da scoprire: Stiffelio. Un Verdi raro, che fa tornare a casa col cuore caldo di musica a spatolate energiche, con la rabbia in testa per come all'opera trattavano le donne.
Battistoni ha tecnica, dominio, non gli sfuggono mai né buca né palcoscenico; si impone coi suoi tempi, che sono evviva scattanti e sgranati, con le articolazioni giuste, i fraseggi; si avverte che i cantanti hanno agio, sono accompagnati, ma non stanno mai a briglia sciolta. L'opera ha un centro. E sta in buca. Al Regio Stiffelio trionfa. Il pubblico lo ascolta col gusto della scoperta, lo applaude in continuazione. La tinta verdiana è evidente. La costruzione sperimentale: ora convenzionale, ora ribelle. Ora una Sinfonia di stampo donizettiano, con una tromba costretta a cantare come un soprano (ottimo Roberto Rossi), e poi scivola su un temino da Dulcamara, e poi ancora precipita a rompicollo come se l'autore si volesse scrollare di dosso tutto quel passato, alle ortiche in blocco. Ora uno squarcio per organo solo (ottimo, ma non c'è il nome in locandina) nel terzo atto, che sa tanto di Parigi e proietta il finale nel clima dell'opera francese, e chissà che Verdi non l'abbia scopiazzato di là.
Tanto bello, tanto bravi, ma allora perché Stiffelio è finito in cantina? Nel suo tempo, per la censura: c'è una moglie che tradisce, e va bene, c'è il marito che è un pastore protestante, e va benino, ma lei non nega, lui chiede il divorzio, aiuto, e il padre di lei uccide il drudo fellone. Troppo, per il 1850. Anche se la pièce (che veniva dalla Francia) funzionava nei teatri di prosa, ma chissà quali periferie sperimentali Verdi frequentava. E poi si sa, la prosa è un conto, la musica un altro: col canto certe azioni si memorizzano, si ripetono. Pericoloso. Il compositore tenta il rimedio: sposta tutto dal presente ai tempi delle Crociate (!), cancella il divorzio, cambia titolo, esce l'Aroldo. Un pasticcio. Due bei nastri intorno al manoscritto, e lo scartafaccio finisce in uno dei bauli di Sant'Agata (la casa). Riemerge nel 1992, edizione critica Ricordi-Chicago, debutto al Met, alla Scala. Per tema del fiasco, di un Verdi minore, la si fa opera di tenore, e dunque vai Carreras (male), vai Domingo (meglio). Ma Stiffelio, anche se sta nel titolo, non è opera di solo tenore.
Ce lo ha raccontato la rivelatoria esecuzione di Parma. È opera corale, di straziante e irrisolta commedia umana. Come le tre della Trilogia popolare, che sortiranno subito dopo. Accanto a loro Stiffelio si colloca. Molto bene proprio per l'assieme la compagnia di canto, con Roberto Aronica nel ruolo da tormento del tradito che deve perdonare (e qualche scivolata calante gli è perdonata), con Yu Guanquin naturalmente lamentosa, nel timbro, e tecnicamente impeccabile, con Roberto Frontali già Germont, padre che risolve malamente tutto. Il drudo ha parte marginale, ma ben la tiene Gabriele Mangione. La regia minima di Guy Montavon lo vuole interamente vestito in ocra, quando gli altri sono solo neri. Così non abbiamo dubbi su chi sia il fellone. E nemmeno sulla mancata lapidazione di lei. Perché cala una gragnuola di pietre, ma nessuno in chiesa osa scagliarle.
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Stiffelio, di Verdi, direttore Andrea Battistoni, regia di Guy Montavon; Parma, Teatro Regio, fino al 24 aprile

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