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Questo articolo è stato pubblicato il 25 aprile 2012 alle ore 17:43.

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Che suono avrà il jazz del futuro? Complicato a dirsi, per un genere che come nessun altro in un secolo e passa di storia ha esplorato i territori musicali più disparati tra accordi, disaccordi, costruzione faticosa di un linguaggio e destrutturazione frenetica dello stesso. I tifosi dello sperimentalismo più spinto, quelli che ancora si coccolano i vinili del Double Quartet di Ornette Coleman e le acrobatiche messinscene dell'Art Esnamble of Chicago, potrebbero però restare delusi: se ha ragione Esperanza Spalding, ragazzona afroamericana di 27 anni osannata dalla stampa specializzata di mezzo mondo, ci sarà poco pane per i loro denti.

La bassista e cantante originaria di Portland riporta infatti indietro la cosiddetta musica classica nera alla amata-odiata forma canzone, inventandosi un sound che agli amanti del free apparirà più jazzy che jazz. Ha un approccio piuttosto pop e lo ribadisce in «Radio Music Society», quarta e ultima sua fatica discografica, nonché sequel del concept del precedente «Chamber Music Society».

Così sequel che l'artista inizialmente pensava addirittura a un doppio album che mettesse insieme i due dischi come fossero primo e secondo movimento della stessa opera. «Radio Music Society» merita l'ascolto, al di là di come la pensiate sulle sorti prossime venture del jazz: dodici brani profondamente impregnati di cultura nera, in cui tutti i musicisti coinvolti appaiono estremamente misurati nell'esecuzione. Non si eccede con gli assolo, per capirci, e non fa eccezione la band leader (per trovare qualcosa che assomigli a una svisata di basso tocca andare al fraseggio iniziale di «Endangered Species»). Sopra le righe c'è soltanto la sua voce vellutata che si libra possente in alto, a dispetto di ritmiche di basso piuttosto articolate. Eseguite in duplice specie: il Fender Jazz senza tasti e il fedele contrabbasso. Il disco si apre con «Radio Song», omaggio al potere fascinatorio che le grandi canzoni riescono a esercitare attraverso il primo elettrodomestico che sia mai stato inventato per la comunicazione di massa. «Il momento in cui si viene toccati dalla radio – spiega la Spalding – è una prova del potere della canzone, ed è quello il momento magico in cui un artista, anche se è qualcuno di cui non sappiamo niente, si mette veramente in comunicazione con il suo altrettanto sconosciuto ascoltatore».

La musicista statunitense affida l'assunto a un funky composto ed elegante che nei cambi ritmici ricorda vagamente le suggestioni che Jaco creava inseguendo la voce di Joni in «The Dry Cleaner from Des Moines». «Cinnamon tree» è una ballad calda ed esotica scritta intorno al giro di basso, mentre la brevissima «Land of the free», tributo a Cornelius Dupree Jr. - nero che ha scontato ingiustamente 30 anni di carcere per una falsa accusa di omicidio sino a che nel 2010 è stato scagionato grazie alla prova del Dna -, strugge sino alla commozione. Soffocata dal rumore di una cella che si chiude. Ed è un po' un prologo alla successiva «Black Gold», canzone dell'orgoglio nero dell'epoca in cui il primo presidente nero degli Stati Uniti d'America si appresta alla sfida per la rielezione. Non mancano un'incursione nel territorio delle big band che furono («Hold on me») e una sincopata riflessione sulle relazioni di coppia («Smile like that»). Canzoni, nel senso più nobile del termine. Se il jazz del futuro è questo, ci sono ottime probabilità che torni a essere la musica popolare delle origini.

Esperanza Spalding
«Radio Music Society»
Concord Music Group/Universal

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