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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2012 alle ore 08:18.

Il primo turno delle elezioni presidenziali francesi ha mandato un messaggio molto chiaro all'Europa: l'austerità e i vincoli di mercato sono più e più malvisti e fomentano populismi che si toccano all'estrema destra e all'estrema sinistra. Populismi che riflettono lo stato d'animo di oltre il trenta per cento dell'elettorato transalpino. I programmi di Marine Le Pen e di Jean Luc Mélenchon sono molto vicini nel rifiutare il rigore europeo a favore di un rafforzamento dello stato sociale, nel proporre vincoli al mercato internazionale e nella profonda diffidenza nei confronti dell'Euro e della sua Banca Centrale.
Chi ha ragione? La severa Merkel e il suo rigore teutonico? Oppure chi pensa che voltando le spalle ai mercati e allargando i cordoni della borsa sia possibile ritrovare la strada della crescita? Proprio perché nessuno ha la sfera di cristallo, è utile ragionare in modo pacato per capire meriti e demeriti di una strategia di risanamento fondata sul rigore fiscale. Una buona occasione ce la dà un libro che è esattamente l'opposto: L'austerità è di destra di Emiliano Brancaccio e Marco Passarella. Già il titolo confonde le idee. La tesi degli autori è che il rigore, auspicato soprattutto dai liberisti pro-mercato (la destra), porti alla distruzione dell'Europa e che ci sia una via migliore alla ripresa. Gran pasticcio: né il rigore né il suo opposto sono di destra o di sinistra. I nostri autori saranno sicuramente a disagio trovando molte delle loro proposte anti austerità nel programma di Le Pen come in quello di Mélenchon. E le loro argomentazioni demagogiche e poco fondate contro il rigore sono un buon esempio della confusione di cui si alimenta il populismo. La combinazione tra recessione (non dimentichiamo che dalla crisi Lehman non ci siamo mai veramente ripresi) e austerità spaventa perché mette in discussione il patto sociale su cui si è fondata l'Europa continentale: la combinazione tra un welfare generoso e il libero mercato. Con la crisi e senza risorse in più da spartire i due pilastri sembrano diventati incompatibili: il mercato impone il rigore e il rigore impone tagli alla spesa sociale e tasse. La virtuosità tedesca premiata dagli spread, giustifica il rigore del Fiscal Compact, il Trattato di stabilità fiscale. E la recessione che ne segue crea disoccupati, inquietudini e necessità di protezione. Certamente un circolo vizioso. Più passa il tempo e meno si trovano via di uscite, più il populismo cova. Ora ci sono due modi di guardare al problema e proporre dei correttivi. Il primo è quello ragionevole e moderato che viene da diversi analisti, istituzioni e politici, che i nostri autori certamente classificherebbero come di destra. Queste includono il Fondo monetario internazionale, la Banca d'Italia, la Corte dei conti italiana. E anche la posizione del nostro primo ministro illustrata questa settimana a Bruxelles. L'approccio è: il rigore è necessario ma dovrebbe essere soprattutto attuato attraverso tagli di spese inutili invece cha attraverso l'aumento delle imposte. Le risorse fiscali dovrebbero essere in parte redistribuite dai paesi ricchi e sani come la Germania verso quelli in difficoltà e usate per finanziare investimenti. L'idea è di sfruttare tutte le opportunità per far riprendere la crescita re-indirizzando con il mercato le risorse disponibili verso impieghi più produttivi e cercando di evitare un abbassamento generalizzato di prezzi e salari (la deflazione). Far crescere la produttività, limitando però i costi sociale dell'aggiustamento.
Il secondo modo, invece, il populismo (e il libro in questione) prevede una riduzione del rigore fiscale isolando le economie nazionali dai mercati: protezionismo, controllo ai movimenti di capitale, pianificazione statale di investimenti e spese. E anche attraverso una più o meno forte disgregazione del mercato unico europeo, dell'Euro e la diluizione del coordinamento fiscale. E allo stesso tempo auspica politiche di riaggiustamento degli squilibri che riducano la competitività dei paesi forti come la Germania, invece di aumentare quella dei paesi deboli come Spagna e Grecia.
Il problema con l'Europa, e questo vale per il rigore miope tedesco come per il populismo francese, è che ci si dimentica che il destino dei paesi europei è in larga misura comune e che tutti, anche se in modo diverso, hanno torti e ragioni. Invece prevale la sindrome dell' "altro colpevole": la Grecia è in difficoltà perché la Germania ha sfruttato le sue debolezze, dunque alla Germania porre rimedio; e dall'altra parte, la Germania è costretta a pagare perché la Grecia è dissoluta. Pensare che sia colpa dell'altro alimenta rigore miope e populismo e non aiuta a trovare il difficilissimo ma inevitabile sentiero tra rigore e crescita.
barba@unimi.it
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Emiliano Brancaccio e Marco Passarella, L'austerità è di destra.
E sta distruggendo l'Europa,
Il Saggiatore, Milano, pagg. 152, € 13,00

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