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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2012 alle ore 08:16.

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Patrimonio e matrimonio fanno coppia da sempre. Anzi, addirittura, spesso si sposano, o si sposavano, tra di loro. Quanto alla passione, quella stava per lo più nei libri – in prosa o in versi – e non nella vita, dove le condizioni ambientali erano sovente difficili, qualche volta impossibili, e perciò l'amore sopravviveva come un clandestino.
Gli impedimenti potevano essere i genitori dell'una o dell'altro – della futura moglie o del futuro marito – che, per ragioni di ceto o di soldi, non giudicavano opportuno che nel matrimonio l'amore ci mettesse nemmeno un dito. Potevano essere un passato legame dell'uno o dell'altra, oppure gli innumerevoli scherzi che il destino cinico e baro sapeva perpetrare nei confronti delle sue vittime. Che so? Un "lui" e una "lei" che erano del medesimo sesso, o di religione e razza diversa, o magari con uno sproposito di anni di differenza...
Il "vero amore", spinto nell'illegalità o perlomeno nella sconvenienza, diventava una forza coartata e talora irresistibile. Magari l'intera faccenda finiva in tragedia, ma chi scriveva un biglietto d'addio prima di lasciarci la pelle di solito faceva sapere che ne era valsa la pena. Erano casi che finivano sui giornali e però, quasi sempre, erano un'imitazione delle storie che si trovavano nei romanzi.
E qui bisogna fare una distinzione di carattere tecnico. Quando amore e cuore facevano rima al chiaro di luna, e spesso all'addiaccio, con un "lui" e una "lei" così presi dalla parte da smarrire persino i propri connotati psicologici, si trattava di romance. Quando invece le trame del matrimonio giravano attorno al problema del metter su casa con relativa azienda e prole a venire, i personaggi erano scolpiti a tutto tondo e si era nell'ambito del novel. Ambito nel quale prevaleva quell'ottemperanza ai rapporti di causa ed effetto che per solito chiamiamo «realismo» e con il quale, da Jane Austen a Balzac, si intendeva la concretezza nel comportamento. Soprattutto nel contare i soldi della dote matrimoniale.
In entrambi i casi – novel e romance – le storie erano solfeggiate sul pentagramma dell'amore. Non dimentichiamoci infatti che prima degli anni Sessanta – prima, cioè, della diffusione della pillola – i bambini nascevano a sciami, anche in Occidente, e l'amore consisteva soprattutto nel prevedere e provvedere per chi sarebbe quasi inevitabilmente nato. Il resto erano per lo più «grilli per la testa». O evasioni nel mondo del fantastico.
L'ultimo, trascinante, romanzo di Jeffrey Eugenides, La trama del matrimonio, non a caso cita in apertura una massima di La Rochefoucauld: «Nessuno si innamorerebbe se non avesse sentito parlare dell'amore». Siamo a un passo dall'idea centrale di un classico come L'amore e l'Occidente di Denis de Rougemont, secondo il quale il cosiddetto «amore romantico» sarebbe un'invenzione propagandistica risalente ai tempi dell'eresia catara. Perché, infatti – ci si può chiedere –, una persona sana di mente dovrebbe di propria volontà mettersi in condizione di soffrire senza trarne un vantaggio concreto?
La prima risposta viene da Frammenti di un discorso amoroso di Ronald Barthes, che è il livre de chevet nonché la guida spirituale della protagonista, Madeleine Hanna. L'amore, secondo Barthes, è una forma di follia – come del resto, aggiungiamo noi – aveva documentato, alla fine del Seicento, Robert Burton nel terzo libro della Anatomy of Melancholy. Ma Eugenides, che è un narratore trascinante e allo stesso tempo enigmatico – seppure non complicato né oscuro – fa un passo oltre e capovolge i termini della questione chiedendosi come si possa rappresentare l'amore di un folle. L'amore inteso non come malattia di una mente altrimenti sana, ma come passione di una persona malata di mente.
Il romanzo ci porta deliziosamente a spasso per quasi 500 pagine con un intreccio amoroso, e variazioni sul tema, che coinvolge tre studenti della Brown University, a partire dal giorno della consegna del diploma di laurea – tutti in tocco e toga sul campus – nella primavera del lontano 1982. Piantando in asso professori, genitori e amici, Madeleine – la "lei" del triangolo – salta la cerimonia e corre all'ospedale psichiatrico di Providence dove è ricoverato Leonard Bankhead, un brillantissimo studente di scienze che soffre di psicosi maniaco-depressiva e a cui si unirà in matrimonio entrando in un incubo a occhi aperti. L'altro "lui" della vicenda è Mitchell, che si chiama Grammaticus, viene da Detroit come Eugenides e – «forse che sì, forse che no» – sembra essere un alter ego dell'autore. Innamorato di Madeleine, Mitchell sarebbe per lei l'uomo da sposare ma la cosa non andrà in porto: partirà per la Grecia da dove provengono i genitori e di lì verso l'India, allo scopo di mettere alla prova il proprio amore per Dio e per il prossimo tra i moribondi di Madre Teresa di Calcutta. Mitchell è uno studioso di teologia e un avido lettore di libri a carattere religioso, e bisogna quindi pensare che l'esperienza che vuole vivere sia da intendere come un amore – agape – che non è comandato dal desiderio, carnale o spirituale che sia, bensì guidato dall'impulso ad amare per solo amore.
Mitchell non resisterà a lungo in mezzo ai corpi in disfacimento del cronicario di Calcutta e tornerà in America. Per un tacito patto con il lettore non svelerò come vada a finire la storia. Avverto però che il vero significato del libro non è in realtà dentro la vicenda del triangolo amoroso. È invece contenuta nella domanda che pongono al lettore sia Madeleine – studentessa e poi studiosa di letteratura vittoriana – sia lo stesso Eugenides. E cioè, se in tempi di facili divorzi e diffusi rapporti prematrimoniali, scrivere un libro sull'amore e sul matrimonio – con tutti i convenzionali ostacoli e punti di riferimento che ne sostengono la peripezia – sia ancora plausibile. Il che vuole anche dire chiedersi che cosa mai possa dire – e dare – un romanzo, quando la critica da tempo proclama che «la littérature c'est moi» e che il testo è solo un pretesto per dare inizio alle interpretazioni. Ai lettori, non necessariamente ai posteri, l'ardua sentenza, e personalmente suggerirei di dare sempre un'occhiata anche al numero di copie vendute.

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