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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2012 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 10 maggio 2012 alle ore 08:25.

Si pone, pertanto, il problema, spesso di difficile soluzione, di stabilire se e in che misura le spese per sponsorizzazioni possano rientrare nell'una o nell'altra tipologia di spese deducibili. Il tema è particolarmente complesso, e può solo segnalarsi, in questa sede, che secondo l'interpretazione prevalente le spese di rappresentanza si caratterizzerebbero per la gratuità, per cui non sarebbero qualificabili come tale le spese per sponsorizzazioni, in quanto originanti da contratti a prestazioni corrispettive.
Le sponsorizzazioni dovrebbero, quindi, rientrare nella fattispecie delle spese di pubblicità. In proposito, va, però, segnalato come l'amministrazione finanziaria abbia ritenuto, specie con riferimento alle sponsorizzazioni sportive, che le stesse possano considerarsi di natura pubblicitaria e inerenti alla produzione del reddito solo se direttamente finalizzate allo scopo di promuovere il prodotto dell'impresa sponsor, mentre nelle altre ipotesi non sarebbero deducibili.
In tale incerto quadro normativo sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, allo scopo di consentire sempre l'integrale deduzione, almeno ai fini dell'imposta sui redditi, delle sponsorizzazioni finalizzate alla realizzazione di interventi di tutela o valorizzazione di beni culturali o di iniziative culturali.
6. Spending review.
In conclusione di questo intervento bisogna ritornare al punto da cui si è partiti, ovvero l'esigenza di una radicale revisione della spesa pubblica, allo scopo di evitare l'incremento della pressione fiscale sui cittadini.
In proposito, uno sforzo potrebbe essere compiuto anche da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, soprattutto mediante la riallocazione delle risorse non utilizzate giacenti nelle contabilità speciali a disposizione degli uffici, e che derivano da stanziamenti non impegnati, da residui perenti o da economie realizzate nelle procedure di gara per la stipulazione di contratti pubblici.
E' mia opinione che, con specifico riferimento a quella Amministrazione, tali risorse non debbano essere sottratte al bilancio del Ministero, ma riallocate in modo razionale. In tal senso, proprio dalla revisione della attuale destinazione delle somme già disponibili lo stesso Ministero potrebbe ricavare, in tutto o in gran parte, i mezzi finanziari di copertura dell'ambizioso programma di fiscalità di vantaggio che si è inteso suggerire.
Ciò consentirebbe di reinserire nel circuito virtuoso dell'economia risorse al momento non utilizzate o allocate in modo non adeguato, favorendo anche lo sviluppo, mediante le agevolazioni che si sono indicate, di tutti i settori costituenti la cosiddetta "industria culturale". Si tratta di un comparto della nostra economia – quello direttamente o indirettamente legato al nostro patrimonio culturale – che, in base a tutti i dati disponibili, non solo non sembra soffrire della crisi economica imperante, ma risulta, anzi, in netta crescita negli ultimi anni.
E' quindi da ritenere che un intelligente investimento dello Stato in cultura, mediante misure da attuare senza nuovi oneri tributari per la collettività, nel senso indicato, costituirebbe certamente un moltiplicatore di ricchezza che potrebbe fare da volano alla ripresa economica del Paese.
Al contempo, l'investimento in cultura rilancerebbe l'immagine del Paese all'estero, con ulteriore beneficio per l'economia generale.
Non da ultimo, una speciale attenzione del legislatore alla cosiddetta "eccezione culturale" avrebbe, nell'attuale momento storico, un valore simbolico fondamentale, poiché varrebbe a sancire definitivamente l'esigenza – sempre più diffusamente avvertita dalla collettività – di una considerazione specifica, nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, alle esigenze di tutela del patrimonio culturale, che rappresenta la fondamentale matrice identitaria e il tratto caratterizzante, universalmente riconosciuto, della civiltà che il nostro Paese è stato in grado di esprimere nel corso dei secoli.
Andrea Carandini è archeologo e presidente del Consiglio superiore del MiBAC. Questa è un'anticipazione dell'intervento che il professore terrà oggi alle 18 al Salone del Libro di Torino.
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