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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2012 alle ore 08:15.
È un grande vecchio dell'arte contemporanea e nonostante i suoi 82 anni, Daniel Spoerri è attivo come non mai. La sua vita professionale si dipana infatti tra il "Giardino" toscano, dove su un'area di 15 ettari vicino a Seggiano ha raccolto un centinaio di opere sue e di artisti amici, il paesino di Hadersdorf am Kamp, nella Bassa Austria, dove ha aperto un proprio museo, e Vienna.
Anche la vita privata dell'artista nato in Romania ma cresciuto in Svizzera e divenuto celebre per i suoi "quadri trappola", si divide tra Toscana e Austria.
Nella capitale danubiana ha preso dimora a un passo dal mercato delle pulci, dove al sabato lo si può incontrare intento a scovare nuovi oggetti da collezionare o riconvertire in opere d'arte: Objets (re)trouvés che ricontestualizza in composizioni (Dé)trompe l'oeil e collages fantasiosi, come le sue celeberrime tavole imbandite e fissate con la colla a imperitura memoria assieme ad avanzi e briciole, bicchieri e tovaglioli sporchi: «Ho dovuto aspettare decenni perché qualcuno dicesse "Ah, bello!" – esordisce ridendo, seduto al tavolo del suo quieto appartamento viennese ingombro in ogni stanza di oggetti e opere d'arte in divenire –. Quando ho cominciato, tutti dicevano "Orribile! Chi mai metterebbe una cosa così alla parete?"».
Non smette di lavorare, mentre parla con la sua voce baritonale: «Non riesco a star fermo», confessa sereno, mentre sceglie da una miriade di mucchietti di pagliuzze e fondi di vetro, denti di animali e cordini, stoffe e fiori secchi, conchiglie e ossi che occupano ogni centimetro del grande tavolo.
Lui, che è stato anche ballerino, coreografo, scenografo, regista di teatro e di cinema, autore, editore, insegnante, ristoratore, nonché compulsivo collezionista, e ha abitato in Svizzera, Germania, Francia, Grecia, Italia, Stati Uniti, all'arte rivendica il classico, trasversale compito di dare un senso alle cose e all'esistenza umana, ma aggiunge senza ombra di malinconia: «Nel frattempo so che è inutile. È come per un filo d'erba: l'uomo nasce, cresce e poi muore. E facendolo cerca un posto il più possibile al sole e se lo gode. Punto.».
Gli effervescenti exploits dei suoi cinquant'anni di carriera – «All'inizio volevamo scardinare il mondo con la nostra arte» – si stemperano in un distacco che ridimensiona anche il movimento del Nouveau Réalisme, che contribuì a fondare nel 1960: «È stato il critico Pierre Restany a scegliere il nome. A quel tempo tutto doveva essere "nuovo", come il nouveau roman, la nouvelle vague e la nouvelle cuisine. Per me la migliore descrizione di ciò che io e Jean Tinguely, Yves Klein, Arman, Christo e François Dufrêne facevamo, era descritto da Paul Eluard nel suo componimento Donner à voir: noi prendevamo semplicemente delle cose e le mostravamo. E ad esser franchi, a me il termine Nouveau Réalisme sembrava un po' sciocco, ho cercato di dirlo ma non è servito a niente, ero giovane e dovevo essere felice di far parte del gruppo.».